Mutamento di destinazione d’uso senza opere: rilevanza del carico urbanistico.
Consiglio di Stato, sezione III, 9 dicembre 2024, n. 9823
Il mutamento di destinazione d’uso
Ciascun immobile o unità immobiliare ha una propria destinazione d’uso assentita con il titolo edilizio, in conformità allo strumento urbanistico vigente al momento della sua edificazione.
Per mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, secondo la definizione del legislatore statale - articolo 23-ter del TU 380/2001, di recente arricchito con diversi commi dal D.L. 29 maggio 2024 n. 69, “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica” convertito, con modifiche con L. 24 luglio 2024, n. 105 c.d. “Salva Casa” - si intende:
- ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria,
- ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie,
- purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle elencate [a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale].
L’applicazione della normativa ha portato non pochi problemi interpretativi, specie quando il mutamento di destinazione comporta il passaggio c.d. orizzontale fra categorie che si trovano inquadrate nella medesima lettera, rispetto all’ipotesi di passaggio c.d. verticale fra categorie urbanistiche riconducibili a lettere diverse.
Sotto questo profilo, il mutamento della destinazione d'uso di un immobile da “produttiva” a “direzionale” o viceversa, all'interno della macrocategoria funzionale di cui alla lett. b), si rivela problematico poiché la quantità di spazi pubblici minimi necessari, secondo la definizione del DM 2 aprile 1968, n. 1444 sulla zonizzazione del territorio, è diversa.
D’altra parte, l’articolo 23-ter, comma 1-bis, aggiunge che il mutamento di destinazione d’uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito, nel rispetto delle normative di settore, (ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni), poiché ritenuto esercizio libero e gratuito connesso al diritto di godimento.
Anche questo aspetto ha creato non pochi problemi applicativi per la necessità di coordinare il profilo urbanistico con il regime edilizio: l’intervento di trasformazione, infatti, pur non essendo rilevante sul piano funzionale, può richiedere un titolo edilizio, anche se inquadrato come “edilizia libera” (prima la DIA e ora la SCIA).
Secondo l’articolo 23-ter, comma 1-quinquies, il mutamento di destinazione d’uso è soggetto al rilascio di un titolo, distinguendo se è attuato:
- senza opere (c.d. funzionale), comprendendo anche l’esecuzione di opere riconducibili agli interventi di cui all’articolo 6 di attività edilizia libera, con SCIA di cui all’articolo 19 della l. 241/90;
- con l’esecuzione di opere edilizie (c.d. strutturale), per il tramite del titolo richiesto per l’esecuzione delle opere necessarie al mutamento di destinazione d’uso.
La fattispecie all’esame del Consiglio di Stato
Il provvedimento oggetto della sentenza di primo grado (T.A.R. Milano, sez. II, 19 dicembre 2020, n. 2212) è un’ordinanza con la quale si contestava la trasformazione effettuata senza opere della destinazione d’uso di un immobile, da laboratorio artigianale a centro culturale, ovvero luogo di culto della religione islamica, in assenza di permesso di costruire, come richiesto dall’articolo 52, comma 3 bis, della l. reg. 12/2005.
L'ordinanza, ritenendo l'intervento abusivo, ne prescriveva la rimessione in pristino ai sensi dell’articolo 31 del TU 380/2001.
Vale la pena tenere presente che:
- a livello di normativa regionale,
- l'articolo 52, comma 3-bis, della l.r. Lombardia n. 12/2005, dispone che “I mutamenti di destinazione d'uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali, sono assoggettati a permesso di costruire”.
- a livello di normativa statale,
- l’articolo 31 del D.P.R. 380/2001 equipara, sul piano sanzionatorio, gli interventi in assenza di permesso di costruire, quelli in totale difformità (che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso) o con variazioni essenziali. In questi casi è prevista a) l’ingiunzione di demolizione per la rimessa in pristino e b) l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale in caso di mancata ottemperanza all’ordine.
- l’articolo 32 del D.P.R. 380/2001, include fra le variazioni essenziali al progetto approvato , il mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968.
L’associazione proprietaria dell’immobile impugna il provvedimento e solleva varie censure, contestando altresì l’illegittimità costituzionale della norma, nel caso l’interpretazione risultasse non conforme ai principi costituzionali che garantiscono la libertà di culto.
Il Consiglio di Stato, invertendo l’ordine di esame delle questioni affrontate dal TAR Milano si pronuncia condividendone le conclusioni in conformità alla giurisprudenza espressasi su entrambe le questioni sottese (sentenza 1° luglio 2020, n. 1269).
Il mutamento di destinazione d’uso senza opere presuppone l’aumento del carico urbanistico
Con la sentenza 9 dicembre 2024, n. 9823, la sezione III del Consiglio di Stato ricorda che il mutamento di destinazione funzionale non comporta di per sé una variazione del carico urbanistico: per ricadere in tale fattispecie deve trattarsi di un intervento che comporti l’aumento del carico urbanistico.
Questo presupposto giustifica la necessità di permesso di costruire e il pagamento degli oneri per realizzare nuove urbanizzazioni o utilizzare più intensamente quelle esistenti, in quanto assolve alla prioritaria funzione di compensare “la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle esistenti” (Cons. Stato sez. II, n. 5297/2022, che richiama Cons. Stato sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2294; id., 7 maggio 2018, n. 2694 e 29 agosto 2019, n. 5964).
Tra gli elementi indicativi di aumento del carico urbanistico la sentenza richiama “riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico” (da Ad. plen. 9 dicembre 2021, n. 22).
È, infatti, sempre lecito il mutamento funzionale che non comporti incremento del carico urbanistico: laddove, infatti, non venga realizzata alcuna opere edilizia né alcuna trasformazione rilevante, il mutamento d’uso costituisce espressione della facoltà di godimento, quale concreta proiezione dello ius utenti, spettante al proprietario (Cons. Stato sez. VI, n. 1684 del 2016).
A conferma, il Consiglio di Stato ricorda che il mutamento di destinazione d’uso non autorizzato e attuato senza opere dà luogo a variazione essenziale sanzionabile, ai sensi dell’articolo 32, comma 1, punto a) DPR 380/2001,
se e in quanto implichi una modifica degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968, ossia dei carichi urbanistici relativi a ciascuna delle categorie urbanistiche individuate nella fonte normativa statale in cui si ripartisce la c.d. zonizzazione del territorio. In caso contrario, non essendo stata realizzata alcuna opera edilizia né alcuna trasformazione rilevante, il mutamento d’uso costituisce espressione della facoltà di godimento, quale concreta proiezione dello ius utendi, spettante al proprietario o a colui che ha titolo a godere del bene (Cons. Stato n. 3803/2020; n. 1684/2016).
Nella specie l’aumento del carico urbanistico non era stato dimostrato.
L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 52, c. 3-bis, l. reg. 12/05
Il Consiglio di Stato respinge l’interpretazione del Comune resistente che attribuirebbe all’amministrazione un potere di controllo finalizzato non alle esigente urbanistiche, ma all’attività religiosa, in contrasto con i principi costituzionali che garantiscono la liberà di culto, e fa propria quella del TAR per la Lombardia nella sentenza impugnata n. 2212 del 2020, già espressa nella precedente della medesima Sezione, n. 1269 del 2020.
Fornisce dunque l’unica interpretazione che legittima l’intervento del potere amministrativo di governo del territorio nel rispetto dei diritti costituzionali:
al fine di ritenere operante la previsione è necessario che la fattispecie concreta imponga effettivamente l’attivazione del potere di governo del territorio che non può che ancorarsi al presupposto stesso per cui simile potere risulta conferito ed ossia l’incidenza e la rilevanza di una determinata attività sull’assetto territoriale ove la stessa si svolge (cfr., Corte Costituzionale, 5 dicembre 2019, n. 254).
In caso di mutamento di destinazione d’uso senza opere c.d. funzionale, la necessità di titolo edilizio è subordinata ad un effettivo incremento del carico urbanistico, profilo che richiedeva un puntuale accertamento in fatto, al fine di confermare che le esigenze urbanistiche non costituissero lo strumento per indebite compromissioni della libertà di culto.
Poiché gli accertamenti compiuti dalla polizia locale constatavano o la mancanza di attività in corso o lo svolgimento di attività di studio ma non testimoniavano un effettivo incremento del carico urbanistico, l’appello è stato respinto.
Conclusioni
Il mutamento di destinazione d’uso di immobili, anche se ottenuto senza opere edilizie, è soggetto al permesso di costruire quando determini un effettivo aumento del carico urbanistico della nuova destinazione d’uso rispetto a quella pregressa, principio valido anche nell’ipotesi di realizzazione di luoghi di culto o destinati a centri sociali, per l’applicazione dell’articolo 52, comma 3-bis, della l. reg. 12/2005 in senso conforme ai principi costituzionali che garantiscono la libertà di culto.
L’accertamento del maggior carico urbanistico, che giustifica la necessità del permesso di costruire e la corresponsione dei relativi oneri di urbanizzazione, assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona: l’esigenza di compensazione può derivare sia dalla necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, sia dall’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.
In conclusione: è illegittimo il provvedimento comunale che ordini il ripristino relativamente al cambio di destinazione d'uso senza opere, da laboratorio artigianale a luogo di culto, in assenza di adeguata istruttoria circa l’effettivo incremento del carico urbanistico.