Luoghi di culto in Lombardia: il nuovo intervento della Corte costituzionale

28 dicembre 2019

Corte costituzionale, sentenza n. 254 del 5 dicembre 2019

Con la sentenza n. 254 del 5 dicembre 2019 la Corte costituzionale torna ad occuparsi della disciplina lombarda in materia di attrezzature religiose, contenuta agli articoli 70-73 della L.R. n. 12/2005, dichiarandone l'illegittimità costituzionale nei passi in cui subordina l'installazione di qualsiasi attrezzatura religiosa all’esistenza del PAR (piano delle attrezzature religiose) e prevede che il PAR debba essere approvato contestualmente al PGT o a sua variante generale, circostanze che, ostacolandone l'esercizio, si pongono in contrasto con il principio di libertà religiosa.

Le attrezzature religiose in Lombardia: dalla l.r. n. 20/1992 alla l.r. n. 12/2005

La prima disciplina che regolamenta la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi in Lombardia risale alla legge regionale 9 maggio 1992, n. 20, che si inserisce in un filone di leggi regionali approvate tra gli anni ottanta e novanta volte a dare alle attrezzature religiose un trattamento differenziato e di maggior favore rispetto alle altre opere di urbanizzazione secondaria, in particolare con la previsione di contributi economici per la loro realizzazione e con l'innalzamento della dotazione minima richiesta dalla disciplina statale.

La legislazione del 1992 prevedeva che, in sede di formazione e revisione del PRG, dovessero essere individuate le aree destinate ad accogliere attrezzature religiose sulla base delle esigenze locali, in misura non inferiore al 25% della dotazione complessiva per attrezzature d'interesse comune e con l'ulteriore previsione per cui in ciascun comune almeno l’8% delle somme riscosse per oneri di urbanizzazione secondaria fosse destinato alla loro realizzazione e manutenzione.

Con la sentenza sentenza n. 346  del 2002 la Corte costituzionale bocciò la disciplina dei contributi prevista dalla l.r.. n. 20/1992 là dove questa prescriveva il requisito dell'intesa con lo Stato per le confessioni, diverse dalla Chiesa cattolica, che avessero voluto beneficiarne.

La l.r. n. 20/1992 viene poi abrogata dalla legge urbanistica regionale n. 12/2005 della Lombardia, la quale provvedette a riproporre le “norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi” al capo III del titolo IV (attività edilizie specifiche).

Nella sua iniziale formulazione la l.r. n. 12 prevedeva all’art. 72 che dovesse essere il Piano dei servizi del P.G.T. ad individuare le attrezzature religiose esistenti e le aree destinate ad accoglierne di nuove, sulla base delle esigenze della popolazione locale e delle istanze presentate dalle confessioni religiose.

In caso di nuovi insediamenti residenziali, era obbligo dell’Amministrazione individuare spazi per nuove attrezzature religiose, mentre le modalità di erogazione dei contributi pubblici erano disciplinate all'art. 73 attraverso l'accantonamento di almeno l'8 per cento delle somme riscosse per oneri di urbanizzazione secondaria.

La l.r. n. 2/2015: il Piano delle attrezzature religiose (PAR)

Nel 2015 il legislatore lombardo interviene sulla l.r. n. 12/2005 attraverso la l.r. 3 febbraio 2015, n. 2, riscrivendone l'art. 70, comma 2, e l'art. 72.

Finalità della novella, come si legge nella relazione accompagnatoria del PDL presentato in Consiglio regionale, è quella di “fornire alle amministrazioni comunali principi omogenei per l’insediamento di attrezzature destinate a servizi religiosi”, ossia evitare la formazione di prassi locali nella pianificazione di attrezzature religiose.

I principi omogenei dettati dalla novella si muovevano in tre direzioni:

a) individuare i gruppi religiosi cui è rivolta la disciplina

La versione originaria dell'art. 70 della l.r. n. 12/2005 si rivolgeva da un lato alla Chiesa Cattolica (comma 1) e dall'altro, indistintamente, a tutte le altre confessioni religiose

come tali qualificate in base a criteri desumibili dall'ordinamento ed aventi una presenza diffusa, organizzata e stabile nell'ambito del comune ove siano effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo, ed i cui statuti esprimano il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e previa stipulazione di convenzione tra il comune e le confessioni interessate

Nonostante lo sforzo definitorio della norma regionale, è evidente che la valutazione sul carattere confessionale dell'organizzazione e sulla sua stabilità e diffusione fosse in ultima analisi rimessa agli enti locali in sede di stipulazione della convenzione urbanistica avanzata dall'organizzazione religiosa.

La novella del 2015 tripartisce l'ambito dei soggetti destinatari delle norme sulle attrezzature religiose.

Da un lato, la Chiesa cattolica (art. 70 co. 1).

Dall'altro, le confessioni con cui lo Stato ha stipulato un'intesa (art. 70 co. 2), per le quali, a differenza della Chiesa, sussiste l'obbligo di stipulare una convenzione urbanistica con il Comune interessato.

Da un altro lato ancora, gli "enti delle altre confessioni religiose" (ossia senza intesa, art. 70 co. 2-bis), ammessi alla disciplina sulle attrezzature religiose a condizione che:

  1. abbiano presenza diffusa, organizzata e consistente sia a livello nazionale che a livello locale, nonchè un "significativo insediamento" nel Comune in cui verranno effettuati gli interventi;
  2. abbiano uno statuto che esprima la loro finalità religiosa nel rispetto dei principi costituzionali;
  3. abbiano siglato una convenzione urbanistica con il Comune.

Chi non ha, o chi perde, anche solo uno di questi requisiti, è escluso dalla possibilità di usufruire di spazi dedicati ad attività religiose.

Elemento qualificante della modifica legislativa consiste nell’istituzione di una consulta regionale incaricata di rilasciare parere “preventivo e obbligatorio” sulla sussistenza dei requisiti di cui ai punti a) e b): la valutazione sulle caratteristiche dell'organizzazione religiosa e sulla sua possibilità di accesso alla normativa urbanistica dedicata viene quindi avocata a livello regionale.

b) l'introduzione del Piano delle attrezzature religiose (PAR)

Ulteriore novità riguarda l'introduzione di un apposito strumento, il Piano delle attrezzature religiose (PAR), “atto separato” benché “facente parte del piano dei servizi”, cui viene affidata la pianificazione urbanistica per l’insediamento di luoghi di culto e relative attrezzature sulla base delle esigenze locali, valutate anche le istanze pervenute dagli enti delle confessioni religiose.

A norma dell'art. 72 co. 5, il PAR deve essere approvato entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della L.R. n. 2/2015.

Decorso detto termine, il piano è approvato unitamente al nuovo PGT.

c) la necessaria approvazione del PAR per l'insediamento di attrezzature religiose

Il comma 2 dell'art. 72, come riscritto dalla L.R. n. 2/2015, prevede che la realizzazione di nuove attrezzature religiose sia possibile solo se sia stato adottato il Piano delle attrezzature religiose.

Il primo intervento della Corte costituzionale: la sentenza n. 63 del 2016

La Corte costituzionale è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della disciplina lombarda in materia di attrezzature religiose, come modificata dalla L.R. n. 2/2015, su ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Con sentenza n. 63 depositata il 24 marzo 2016 la Corte accoglie solo alcune delle censure mosse dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dichiara l'illegittimità costituzionale:

  • dell'art. 70 co. 2-bis lett. a) e b) e dell'art. 70 co. 2-quater, ossia delle disposizioni che dettano i requisiti che le confessioni prive di intesa con lo Stato devono avere per poter essere ammesse alla normativa in materia di attrezzature religiose, rimettendone la valutazione ad una consulta regionale, per contrasto con gli artt. 8 e 19 Cost. in materia di libertà religiosa;
  • dell'art. 72 co. 4, primo periodo, che prevede l'acquisizione di pareri delle forze di polizia in sede di formazione del PAR, e dell'art. 72 co. 7 lett. e), che impone la realizzazione di impianto di videosorveglianza esterno all’edificio religioso, trattandosi di previsioni che perseguono finalità di ordine pubblico e sicurezza, materie di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, co. 2, lett. h) Cost. 

La sentenza - firmata dall'attuale Presidente della Consulta, Marta Cartabia -  depura la disciplina lombarda da quegli elementi che sembrano ispirati più da ragioni di esemplarità che da reali esigenze di carattere urbanistico, mentre resta salvo, non essendo stato oggetto di impugnazione da parte della Presidenza del Consiglio, l’impianto fondamentale della normativa, a partire dalla necessità del Piano delle attrezzature religiose quale presupposto per l’insediamento delle stesse sul suolo lombardo.

Viene tuttavia declinato un importante principio in materia di edilizia di culto e di sue implicazioni con la libertà di religione, che verrà ripreso anche dalla nuova sentenza della Corte costituzionale qui in commento:

la legislazione regionale in materia di edilizia del culto «trova la sua ragione e giustificazione – propria della materia urbanistica – nell’esigenza di assicurare uno sviluppo equilibrato ed armonico dei centri abitativi e nella realizzazione dei servizi di interesse pubblico nella loro più ampia accezione, che comprende perciò anche i servizi religiosi» (sentenza n. 195 del 1993). In questi limiti soltanto la regolazione dell’edilizia di culto resta nell’ambito delle competenze regionali. Non è, invece, consentito al legislatore regionale, all’interno di una legge sul governo del territorio, introdurre disposizioni che ostacolino o compromettano la libertà di religione, ad esempio prevedendo condizioni differenziate per l’accesso al riparto dei luoghi di culto. Poiché la disponibilità di luoghi dedicati è condizione essenziale per l’effettivo esercizio della libertà di culto, un tale tipo di intervento normativo eccederebbe dalle competenze regionali, perché finirebbe per interferire con l’attuazione della libertà di religione, garantita agli artt. 8, primo comma, e 19 Cost., condizionandone l’effettivo esercizio.

Le nuove questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Milano

La Corte costituzionale è nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla disciplina lombarda delle attrezzature religiose a seguito di due autonome questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Milano che, riguardando norme sotto più profili connesse e sollevando questioni in parte sovrapponibili, la Corte costituzionale riunisce e definisce congiuntamente con la pronuncia qui in esame.

Merita fare un breve accenno alle questioni sollevate e ai giudizi da cui originano.

a) La questione sollevata dal TAR Milano, Sezione II, con sentenza non definitiva 3 ottobre 2018, n. 1939

Il caso trattato dal TAR Milano riguarda l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire rilasciato ad un’associazione islamica per adibire un complesso immobiliare ad attività di culto, annullamento motivato dal Comune dall’assenza del PAR, la cui mancanza impedisce la realizzazione di attrezzature religiose.

Con sentenza non definitiva del 3 agosto 2018, il TAR Milano rimette al giudizio della Corte costituzionale i commi 1 e 2 dell’art. 72 L.R. n. 12/2005, nella misura in cui subordinano alla previa approvazione del PAR la possibilità di installare attrezzature religiose.

La realizzazione di tali attrezzature è quindi condizionata alla sussistenza di un piano che l’Amministrazione, in base a legge, non ha alcun obbligo di approvare. Circostanza che travalicherebbe l’ambito e le finalità della pianificazione urbanistica, per rimettere di fatto ad una scelta assolutamente discrezionale dell'Amministrazione la possibilità di esercitare il culto, diritto garantito dall’art. 19 Cost., con cui le disposizione impugnate contrasterebbero.

b) La questione sollevata dal TAR Milano, Sezione II, con sentenza non definitiva 8 ottobre 2018, n. 2227

A brevissima distanza dalla prima rimessione, la seconda Sezione del TAR Milano solleva una nuova questione di ligittimità costituzionale riferita alla normativa in tema di attrezzature religiose.

Il caso riguarda un’associazione islamica intenzionata a creare un luogo di culto sul territorio comunale, che già nel 2011 aveva ottenuto l’annullamento del PGT nella parte in cui non prevedeva alcuna area da destinare al culto islamico.

Intervenute le modifiche ad opera della L.R. n. 2/2015, l’associazione diffidava il Comune a provvedere all'adozione del PAR entro il termine di 18 mesi di cui all’art. 72 co. 5, individuando le aree per atterzzature religiose.

Nonostante ciò il Comune lasciava decorrere il termine di 18 mesi, per poi opporre un nuovo diniego all’associazione, da quest’ultima impugnato innanzi al TAR Milano.

In questo caso il Giudice amministrativo, vista la questione già sollevata con riferimento ai commi 1 e 2, si limita ad impugnare il co. 5 dell’art. 72 nella misura in cui, a seguito dell’inutile decorso del termine di diciotto mesi per l’adozione del PAR, la norma non prevede la possibilità di intervento sostitutivo, e assegna all’amministrazione comunale la facoltà di introdurre il piano in sede di revisione o adozione del PGT senza alcun termine e senza disposizioni “sanzionatorie”, così comprimendo irragionevolmente la libertà religiosa dei fedeli nel poter usufruire di spazi per l’esercizio del culto, rimessa anche in questo caso ad una scelta discrezionale e non temporalmente definibile dell'Amministrazione.

La sentenza della Corte costituzionale n. 254/2019

Con la sentenza n. 254 del 5 dicembre 2019 la Corte Costituzionale, riuniti i due giudizi di costituzionalità sollevati dal TAR Milano, li decide congiuntamente.

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 72, comma 1

Le questioni di legittimità sollevate dal TAR Milano riguardavano anche il comma 1 dell'art. 72, ossia la disposizione che rimette al PAR l'individuazione della aree che accolgono e che sono destinate ad accogliere le attrezzature religiose, ritenuta lesiva della libertà religiosa in uno con la successiva disposizione di cui al comma 2.

La Corte costituzionale afferma invece che la lesione della libertà religiosa è riscontrabile nella disposizione che espressamente subordina alla previa approvazione del PAR l'installazione di qualsiasi nuova attrezzatura religiosa (comma 2), e non nella previsione che demanda ad uno specifico strumento la localizzazione e la disciplina di tali attrezzature (comma 1).

L'affermazione ha in realtà contenuto processuale più che sostanziale, in quanto la questione di legittimità del comma 1 viene rigettata poiché irrilevante ai fini della decisione dei giudizi a quo

Ciò a dire che nelle vicende all'esame del TAR Milano da cui deriva la rimessione alla Corte costituzionale non sono in discussione i contenuti del PAR (in entrambi i casi non approvato dal Comune), quanto il fatto che il diniego opposto dall'Amministrazione alle istanze delle associazioni religiose era motivato dall'assenza del PAR.

L'illegittimità costituzionale dell'art. 72, comma 2

Dopo aver ricordato, citando la precedente sentenza n. 63/2016, che la potestà legislativa regionale in materia di edilizia di culto è costituzionalmente legittima nella misura in cui orientata a esigenze di governo del territorio, mentre non può tradursi in disposizioni che ostacolino o compromettano la libertà di religione, la Corte giudica costituzionalmente illegittimo il secondo comma dell'articolo 72, che subordina l'insediamento di qualsiasi attrezzatura religiosa alla previa adozione del PAR, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 19 Cost.

Ad avviso della Corte, la disposizione non appare retta da ragioni urbanistiche là dove:

  • vieta l'insediamento di qualsiasi struttura religiosa in assenza di PAR, indipendentemente dalle  caratteristiche e dimensioni, vietando quindi anche l'insediamento di attrezzature prive di rilevanza urbanistica;
  • introduce un regime differenziato rispetto a tutte le altre opere di urbanizzazione secondaria, anche aventi notevole rilevanza urbanistica, in alcun modo sottoposte alla previa approvazione di uno specifico piano che le individui.

Di qui la conclusione secondo cui la disciplina in questione ha come obiettivo "quello di limitare e controllare l’insediamento di (nuovi) luoghi di culto", così compromettendo la libertà di esercizio del culto, costituzionalmente garantita.

L'illegittimità costituzionale dell'art. 72, comma 5

Parimenti oggetto di censura da parte del giudice delle leggi è l'articolo 72 comma 5 secondo periodo, della l.r. n. 12/2005 laddove prescrive che il piano delle attrezzature religiose, se non approvato nei 18 mesi successivi all'entrata in vigore della riforma, possa essere approvato solo contestualmente alla variante generale di PGT, mentre non è ammessa una sua approvazione separata.

Il che comporta che le istanze di insediamento di attrezzature religiose

siano destinate a essere decise in tempi del tutto incerti e aleatori, in considerazione del fatto che il potere del comune di procedere alla formazione del PGT o di una sua variante generale, condizione necessaria per poter adottare il PAR (a sua volta condizione perché la struttura possa essere autorizzata), ha per sua natura carattere assolutamente discrezionale per quanto riguarda l’an e il quando dell’intervento.

Anche questa norma, secondo la Corte, integra una violazione degli articoli 2, 3 e 19 Cost., in quanto mina la libertà religiosa sottoponendola ad un'attività eventuale e discrezionale dell'Amministrazione.

Nessun'altra attrezzatura pubblica o di pubblico interesse, osserva la Corte, conosce un trattamento tanto rigoroso all'interno della legge urbanistica lombarda.

Quali conseguenze?

In conclusione, la disciplina lombarda delle attrezzature religiose, a seguito dell'intervento della Corte costituzionale:

  • non prevede più la previa approvazione del PAR quale condizione per installare un'attrezzatura religiosa;
  • non impone più che l'approvazione del PAR debba avvenire contestualmente alla approvazione del PGT o di sua variante generale.

Senza voler anticipare i possibili esiti dei giudizi da cui origina la sentenza della Corte costituzionale in commento, deve oggi considerarsi illegittimo il comportamento dell'amministrazione che: 

  • neghi l'installazione di attrezzatura religiosa giustificandola con l'assenza del PAR;
  • rinvii ogni decisione sull'insediamento di luoghi di culto al momento della redazione di una variante al PGT.

Quanto sopra ferma restando la legittimità della disciplina lombarda laddove prevede un apposito piano per l'insediamento delle attrezzature religiose.

Di fatto, l'intervento della Corte crea le condizioni per dare effettività al PAR e certezza sui tempi della sua approvazione, evitando che la disciplina sulla realizzazione di attrezzature religiose e il richiamo alle sue procedure diventino, come è stato finora, un espediente per evitare di provvedere sulle istanze delle confessioni.

Resta perlatro sullo sfondo l'ulteriore questione sollevata dal TAR e alla quale dedica un riferimento anche la Corte costituzionale, ossia se abbia una giustificazione sottoporre a PAR l'installazione di qualsiasi attrezzatura religiosa che, a norma dell'art. 71, comprende non solo edifici di culto e destinati ad attività educative, culturali, ricreative e di ristoro, ma anche

gli immobili destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all’esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali

Le questioni aperte

Non è semplice individuare le ragioni urbanistiche che hanno suggerito al legislatore regionale di sottoporre a PAR ipotesi tanto diverse, anche in punto di concreto impatto urbanistico.

In sede di redazione del PAR il Comune, nell'effettuare la ricognizione delle "esigenze locali" in punto di attrezzature religiose, è chiamato anche a valutare le istanze avanzate dalle confessioni religiose a norma dell'art. 72 co. 1 L.R. n. 12/2005:

1. Le aree che accolgono attrezzature religiose o che sono destinate alle attrezzature stesse sono specificamente individuate nel piano delle attrezzature religiose, atto separato facente parte del piano dei servizi, dove vengono dimensionate e disciplinate sulla base delle esigenze locali, valutate le istanze avanzate dagli enti delle confessioni religiose di cui all'articolo 70.

Da queste le amministrazioni possono trarre utili indicazioni del fabbisogno non solo a livello quantitativo, ma anche quanto a tipologia di immobili e di funzioni da esercitare, sulla base delle esigenze organizzative e liturgiche delle varie confessioni.

In questo senso, l'ampiezza delle ipotesi contemplate dall'art. 71 co. 1 può rappresentare una garanzia per le confessioni religiose, nella misura in cui conferisce dignità e riconoscimento di attrezzatura religiosa anche ad immobili ed organizzazioni che, in un Paese in cui il fenomeno religioso e la sua estrinsecazione organizzativa sono stati per secoli rappresentati in via pressoché esclusiva dal cattolicesimo e dalla Chiesa, potrebbero non essere percepiti come tali.

D'altro canto, un'elencazione vasta e aperta come quella dell'art. 71 comma 1 potrebbe condurre a risultati preoccupanti in sede di esercizio dei poteri di vigilanza sull'attività edilizia da parte dei Comuni.

Dire che le strutture citate dall'art. 71 comma 1 sono attrezzature religiose significa dire che, se queste esistono sul territorio ma non sono previste dal PAR, sono abusive.

E dal momento che il cambio di destinazione d'uso per realizzare luoghi di culto è soggetto a permesso di costruire anche in assenza di opere (art. 52 co. 3-bis L.R. n. 12/2005), le sanzioni possono essere quelle previste dall'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, inclusa l'acquisizione gratuita dell'immobile e dell'area di sedime alla mano pubblica.

A fronte di un regime sanzionatorio tanto severo è quindi preoccupante che le fattispecie che potrebbero esservi sottoposte siano descritte in termini così ampi e per certi versi generici come quelli utilizzati dall'art. 71 comma 1, in particolare alle lettere c) e c-bis), lasciando ai Comuni notevoli margini di valutazione.

È infatti evidente che i Comuni, nel dare attuazione a tale disciplina, saranno chiamati a verificare il carattere religioso o meno di aggregazioni di cittadini, spingendosi in valutazioni estranee alla materia urbanistica e al novero delle funzioni comunali.

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