Edifici di culto: l’uso di un bene come luogo di preghiera è illegittimo in assenza di permesso di costruire.

4 settembre 2018

T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 27 agosto 2018, n. 2018

Il T.A.R. Lombardia interviene in materia di mutamenti di destinazione d'uso senza opere finalizzati alla realizzazione di luoghi di culto, specificando che - una volta accertato l'utilizzo dell'immobile come luogo di culto e che tale utilizzo non è contemplato dalle previsioni dello strumento urbanistico locale per la specifica zona - è giocoforza applicare il regime sanzionatorio previsto dall'art. 31 del d.P.R. 380/2001, in uno con le conseguenze acquisitive connesse alla mancata ottemperanza.

 

 

Le istanze della associazione culturale islamica al Comune di Cantù

La sentenza del T.A.R. Milano si colloca nel complesso rapporto tra una amministrazione locale (il Comune di Cantù) e una associazione culturale di stampo islamico (l'associazione Culturale Islamica di Cantù).

Ai fini che qui interessano - e anche per meglio comprendere il portato dell'arresto giurisprudenziale in questione - è utile sapere che l'associazione ha sede in un edificio a destinazione industriale in Comune di Cantù relativamente al quale la proprietà ha inoltrato nel 2014 domanda di rilascio di permesso di costruire per mutamento di destinazione d'uso a luogo di culto, riunioni e conferenze.

Alla domanda il Comune oppone il diniego del febbraio 2015, evidenziando come - nonostante l'AC avesse, in sede di approvazione del Piano di Governo del Territorio, a suo tempo accolto l'osservazione svolta dalla associazione relativa alla possibilità di utilizzare la porzione di immobile di proprietà della associazione come luogo di culto - la legge regionale n. 2/2015, pubblicata sul B.U.R.L. il 5 febbraio 2015, vieta l'installazione di nuove attrezzature religiose in assenza del Piano per le Attrezzature Religiose, "atto separato facente parte del piano dei servizi", secondo la definizione contenuta nel novellato art. 72, c. 1, della l.r. 12/2005.

Il diniego viene impugnato dalla Associazione Culturale Islamica, nella sua qualità di titolare di contratto di concessione in godimento con opzione di acquisto: il ricorso, rubricato con il n. 1705/2015, è tutt'ora pendente presso la stessa sezione del T.A.R. Lombardia che ha emesso la sentenza 2018/2018.

L'ordine di cessazione del luogo di culto

Nel maggio del 2017 l'associazione - che nel frattempo ha acquistato l’immobile - effettua una comunicazione di cambio d'uso senza opere da laboratorio a "sede di associazione non aperta al pubblico", cui l'amministazione risponde diffidando l'associazione ad utilizzare l'immobile in conformità alla destinazione di zona prevista dallo strumento urbanistico.

A giugno il Comune di Cantù contesta all'associazione l'intervenuto mutamento di destinazione d'uso in assenza di permesso di costruire e ne ingiunge la cessazione dell'utilizzo, pena l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale ex art. 31, c. 2, del Testo Unico dell'Edilizia.

Avverso l'ingiunzione propone ricorso l'associazione con ricorso rubricato al n. 1854/2017, sostenendo, tra l'altro, che il Comune contesta non già un’opera edilizia di trasformazione del territorio ma un comportamento, cioè un’attività di preghiera, in violazione dell'art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

Stante l'approssimarsi del Ramadan, a fine agosto 2017 l'amministrazione diffida l'associazione dal destinare e/o utilizzare l'immobile a culto e la diffida viene impugnata con un primo ricorso per motivi aggiunti.

Ad ottobre il Comune notifica all'associazione atto di accertamento di inottemperanza ritenendo conclamato, sulla scorta delle relazioni della polizia locale, il presumibile utilizzo del capannone anche come luogo di culto ed ingiunge la consegna delle chiavi dell'immobile, dispondo la trascrizione nei pubblici registri immobiliari: l'associazione svolge quindi un secondo ricorso per motivi aggiunti.

Nello stesso mese, l'associazione richiede il rilascio di permesso di costruire ex art. 52, c. 3bis, l.r. n. 12/2005 per cambio di destinazione d'uso per l'esercizio di attività di "centro sociale".

Nel procedimento intervengono:

  • una prima ordinanza cautelare di rigetto della diffida ad utilizzare lo stabile come luogo di culto, motivata con riferimento al fatto che l’oggetto dell’attività svolta all’interno dell’immobile non sembra compatibile con le destinazioni urbanistiche previste dal PGT;
  • una seconda ordinanza del novembre 2017, con cui il Collegio sospende  l’efficacia dell'accertamento di inottemperenza fino alla definizione della domanda di permesso di costruire finalizzato al cambio di destinazione d'uso per centro sociale.

La sentenza n. 2018/2018 del T.A.R. Lombardia: l'illegittimità del mutamento di destinazione d'uso a luogo di culto in assenza di titolo

Intervenuto il rigetto della domanda di permesso di costruire nell'aprile 2018 (impugnato con altro ricorso, rubricato al n. 1574/2018), con la sentenza n. 2018 del 27 agosto 2018, estensore Bini, il TAR definisce il ricorso n. 1854/2017:

  • respingendo il ricorso principale;
  • dichiarando inammissibili i motivi aggiunti del 6.10.2017;
  • accogliendo in parte i motivi aggiunti del 23.10.2017.

La sentenza è certamente apprezzabile per come affronta e gestisce i tredici mezzi svolti in giudizio (quattro del ricorso principale, tre del primo ricorso per motivi aggiunti, sei del secondo ricorso per motivi aggiunti).

Lo schema logico che consente di provvedere su ciascun mezzo senza apparenti contraddizioni si appoggia su due ordini di considerazioni, strettamente connessi tra di loro ed entrambi fondati sulla premessa secondo cui è pacifico ed assodato l'utilizzo a luogo di culto (sugli elementi da cui è possibile dedurre l'uso in questione, v. Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2016 n. 1684T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 8.11.2013 n. 2486, T.AR. Veneto, sez. II, 27 gennaio 2015 n. 91).

Dal punto di vista fattuale è certo che l’immobile venga utilizzato come luogo di culto, e non solo come sede di attività associativa: gli accertamenti compiuti dall’amministrazione con gli atti sopra richiamati – i quali, come tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, hanno efficacia di piena prova, fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c. relativamente alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti – confermano che i locali in questione non sono destinati all’uso industriale, artigianale o direzionale, usi ammessi in base al PdR, ma a luogo di culto.

Sotto il profilo urbanistico:

  • la tipologia di utilizzo come luogo di culto non è contemplata dalle previsioni dello strumento urbanistico locale per la specifica zona;
  • ne è pertanto in contrasto.

Sotto il profilo edilizio:

  • l'utilizzazione dell'immobile a luogo di culto configura un mutamento di destinazione urbanisticamente rilevante;
  • il legislatore lombardo - che pure ha liberalizzato i mutamenti di destinazione d'uso conformi alle previsioni di PGT - ha voluto specificamente assoggettare a permesso di costruire i mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali (art. 52, c. 3bis, l.r. n. 12/2005);
  • accertato un mutamento di destinazione d'uso in assenza di permesso di costruire, è giocoforza applicare il regime sanzionatorio previsto dall'art. 31 del d.P.R. 380/2001, in uno con le conseguenze acquisitive connesse alla mancata ottemperanza.

Accertato il mutamento d’uso in assenza del permesso di costruire e la correttezza della applicazione del regime sanzionatorio previsto dall’art. 31 del dpr 380/2001 per le opere eseguite in assenza del permesso di costruire, ingiungendo la rimozione o la demolizione, i giudici milanesi si limitano a censurare come contraddittorio il comportamento dell’Amministrazione che dispone l’acquisizione di un bene, a fronte della sospensione del procedimento teso ad ottenere il permesso di costruire per cambio di destinazione d’uso senza opere, ai sensi dell’art. 52 c. 2 LR 12/2005.

Da qui il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso per motivi aggiunti in parte qua, con conseguente annullamento del provvedimento con cui è stata disposta la “trascrizione beni immobili per accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione registro n. 2 (…) con richiesta di consegna chiavi finalizzata all'immissione in possesso dell'immobile”.

Le conseguenze sanzionatorie della necessità del permesso di costruire e l'inapplicabilità, in Lombardia, dell'accertamento di conformità

Una volta qualificato il mutamento di destinazione d'uso a luogo di culto come intervento assoggettato a permesso di costruire ed accertata l'assenza di titolo, la conseguenza è l'acquisizione gratuita alla mano pubblica qualora il proprietario non provveda al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione (art. 31, c. 3, d.P.R. n. 380/2001).

Questo esito sanzionatorio, secondo come gravità solo all'ipotesi della lottizzazione abusiva, in Regione Lombardia sconta l'impraticabilità della sanatoria edilizia di cui all'articolo 36 d.P.R.n. 380. 

Quand'anche infatti in sede di appello dovesse essere ribaltato l'assunto secondo cui l'uso a luogo di culto confligge con la destinazione urbanistica dei luoghi, neppure l'eventuale conformità al PGT consentirebbe un accertamento di conformità postumo in quanto in Lombardia l'istituto non può operare, perchè - a partire dall'entrata in vigore della legge regionale n. 2/2015 (pubblicata sul B.U.R.L. il 5 febbraio 2015) - è vietata l'installazione di nuove attrezzature religiose in assenza del Piano per le Attrezzature Religiose, ossia dello strumento dove vengono dimensionate e disciplinate le istanze di nuovi insediamenti di culto sulla base delle esigenze locali.

A norma dell'art. 72, c. 2, l.r. 12/2005, infatti:

L’installazione di nuove attrezzature religiose presuppone il piano di cui al comma 1; senza il suddetto piano non può essere installata nessuna nuova attrezzatura religiosa da confessioni di cui all’articolo 70

dove per "confessioni" si intendono sia la Chiesa Cattolica (art. 70, c.1) sia le altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha approvato la relativa intesa ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione (art. 70, c. 2)

L'impianto normativo lombardo in tema di mutamenti di destinazione a luoghi di culto

La legislazione lombarda in materia di edilizia religiosa è contenuta nella parte II, titolo IV, capo III, della legge n. 12 del 2005, articoli da 70 a 73, sostitutiva della legge regionale 9 maggio 1992, n. 20 (Norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi), da integrarsi con la disposizione di cui all'articolo 52 della stessa legge regionale a norma del quale

3-bis. I mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali, sono assoggettati a permesso di costruire.

La scelta del legislatore lombardo di assoggettare a permesso di costruire la realizzazione di luoghi di culto è del tipo ^derivato^, utilizzando il disposto dell'articolo 10, c. 2, del Testo Unico dell'Edilizia, a norma del quale

2. Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinate a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività.

La disposizione regionale, introdotta dall'art. 1, legge reg. n. 12 del 2006, non è mai stata messa in discussione sotto il profilo costituzionale, mentre lo è stata la scelta di subordinare l’installazione di nuove attrezzature religiose alla previa approvazione di uno specifico strumento denominato “Piano per le attrezzature religiose”, oggetto della sentenza 23 febbraio 2016, n. 63, della Corte Costituzionale [link]

Affermando che

la regolazione dell’edilizia di culto resta nell’ambito delle competenze regionali

e quindi nell’alveo delle attuali attribuzioni del “governo del territorio” ai sensi dell’art. 117, comma 3, della carta costituzionale, la pronuncia della Corte si attiene a questo principio, avendo cura di non forzarlo, pur puntualizzandone i confini, ossia che alle Regioni non è consentito, 

all’interno di una legge sul governo del territorio, introdurre disposizioni che ostacolino o compromettano la libertà di religione.

Nessuna riflessione a questo proposito è tuttavia svolta dai giudici milanesi, i quali hanno tratto le proprie conclusioni applicando strettamente la normativa vigente, mentre qualche dubbio potrebbe ragionevolmente porsi a proposito della necessaria proporzione tra abuso e sanzione, vero che l'art. 31 è stato scritto dal legislatore nazionale in un quadro - quello del 2001 - decisamente diverso dall'attuale e di cui è ragionevole ritenere che all'epoca della scrittura l'attenzione fosse concentrata sugli abusi consistenti nella attività fisica di realizzazione di opere e non sui meri mutamenti di destinazione d'uso senza opere.

Gli arresti del T.A.R. Lombardia in tema di luoghi di culto 

La sentenza dei giudici milanesi si colloca in un quadro giurisprudenziale del T.A.R. Lombardia tutto sommato consolidato.

Si vedano, con riferimento agli aspetti più squisitamente edilizi:

Lo svolgimento dell’attività propria di un’associazione culturale – di carattere ricreativo o formativo, non disgiunto magari da momenti di preghiera – non appare compatibile con la destinazione a laboratorio industriale. Nè soccorre la modifica all’art. 23-bis del d.P.R. 380/2001, il quale individua una serie di categorie funzionali autonome, specificando che il passaggio dall’una all’altra – anche senza opere edilizie – configura un mutamento di destinazione d’uso rilevante sotto il profilo urbanistico. La categoria “produttiva e direzionale” di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo citato, nella quale può comprendersi quella a laboratorio industriale, non può consentire attività culturali e formative.
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 17.2.2016 2016, n. 344, estensore Zucchini
L’accertamento della ritenuta modifica di destinazione d’uso a luogo di culto non può dirsi efficacemente compiuto sulla scorta delle risultanze di un unico sopralluogo: a) la presenza di scaffalature aperte utilizzate come deposito di scarpe; b) la presenza di tappeti; c) la presenza di due persone inginocchiate verso est. Affinché tale destinazione funzionale possa dirsi effettivamente impressa è necessario verificare che l’edificio costituisca un forte centro di aggregazione umana; e la presenza di due sole persone (seppur presumibilmente dedite alla preghiera) non dimostra di certo la sussistenza di questo requisito. 
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 8.11.2013 n. 2486, estensore Cozzi
Al fine di definire cosa debba intendersi per "attrezzature d’interesse comune per servizi religiosi", assoggettate al permesso di costruire in caso di mutamento di destinazione d’uso anche se non accompagnato da opere edilizie non può - per ratione temporis - ricorrersi all’art. 71 della legge regionale n.12 nel testo vigente prima della modifica introdotta con la legge 21.02.2011 n. 3, ma al comma 1 del citato art. 71 oggi vigente, il quale include tra le quale include tra le "attrezzature di interesse comune per servizi religiosi: … c-bis) gli immobili destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all'esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali".
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 22.11.2011 n. 2827, estensore Plantamura

 

La sentenza T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 27 agosto 2018, n. 2018, è disponibile sul sito della Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.

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