Difformità edilizie e vincolo paesaggistico sopravvenuto: quale disciplina?

13 novembre 2023

Il perimetro applicativo della sanatoria paesaggistica ex art. 167 D.Lgs. n. 42/2004

Le strette maglie della sanatoria paesaggistica

Le opere realizzate in assenza o in difformità della dovuta autorizzazione paesaggistica possono essere sanate sotto il profilo paesaggistico, ma la possibilità di sanatoria si scontra con la rigidità dell’art. 167, co. 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che ammette all’accertamento di compatibilità paesaggistica i soli interventi

che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati.

Pertanto, possono essere sanate le sole opere che, in assenza o in difformità di autorizzazione paesaggistica, non abbiano creato superfici o volumi non autorizzati: viceversa la sanatoria non sarà possibile e le superfici o volumi illegittimamente realizzati dovranno essere ridotti in pristino, ossia demoliti.
Il primo comma dell’art. 167, infatti, non lascia spazio a dubbi sul fatto che, al di fuori delle strette maglie in cui è ammessa la sanatoria paesaggistica,

in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese.

Un caso particolare: le opere realizzate prima del vincolo

La disciplina in materia di autorizzazione paesaggistica e di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica ha subito negli anni sostanziali modifiche legislative e può non essere di immediata individuazione la disciplina applicabile al caso concreto.

Un caso particolare che può porsi nella pratica è quello di opere edilizie in difformità realizzate quando l'area non era interessata da vincoli paesaggistici, che oggi sono invece presenti.

A margine la necessità, sussistendone i presupposti, di sanare le difformità sul piano edilizio, la questione che si pone è come comportarsi di fronte al sopravvenuto vincolo paesaggistico. 

Un esempio può chiarire la problematica:

  • nel 1980 viene rilasciato un titolo edilizio per la realizzazione di un immobile, che viene ultimato nel 1983;
  • quanto realizzato presenta delle difformità rispetto a quanto autorizzato e oggi la proprietà intende sanare l’abuso;
  • tuttavia, a far data dal 6 settembre 1985 (data di entrata in vigore della L. 431/1985, c.d. “Legge Galasso”), l’area viene sottoposta a vincolo paesaggistico ex lege in quanto compresa entro la fascia di 150 m. dagli argini di un fiume;
  • si è quindi in presenza di un abuso commesso prima dell’introduzione del vincolo paesaggistico e di una richiesta di sanatoria che interviene a vincolo esistente.

La problematica che si pone, come detto, riguarda la necessità, o meno, di sanare o autorizzare l'opera sotto l'aspetto della tutela paesaggistica.

La posizione del Ministero

La problematica è nota al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (oggi Ministero della Cultura), che con parere dell’Ufficio legislativo del 27 aprile 2016 prot. 12385, ha affrontato la questione, affermando che, nel caso di vincolo paesaggistico intervenuto successivamente alla realizzazione dell’opera abusiva,

non sussistendo un illecito paesaggistico, non ricorrono i presupposti per l’applicazione della disciplina sanzionatoria di cui agli artt. 146, comma 4, e 167 del Codice.

Tuttavia, visto che oggi il vincolo sussiste, qualsiasi richiesta di sanatoria edilizia dell’abuso non può che essere conforme anche alla disciplina paesaggistica sopravvenuta, con la conseguenza che l’intervento

dovrà essere sottoposto, comunque, alla verifica di compatibilità paesaggistica, ma secondo le modalità e con la disciplina dell’art. 146 del Codice.

L’Ufficio legislativo del Ministero è stato nuovamente sollecitato ad esprimersi sulla questione, con particolare riferimento alla procedura da seguire per la verifica di compatibilità paesaggistica di interventi realizzati prima dell’apposizione del vincolo.

Con parere 20 aprile 2017, prot. 12633, l’Ufficio legislativo ministeriale ha quindi specificato che

il richiamo all’art. 146 (contenuto nel precedente parere del 27 aprile 2016) deve naturalmente intendersi riferito esclusivamente ai fini del riempimento delle lacune di disciplina procedimentale rinvenibili nel dettato del citato comma 5 dell’art. 167

Pertanto l’intervento edilizio “originariamente lecito dal punto di vista della normativa paesaggistica”, in quanto al momento della realizzazione non era previsto il vincolo, dovrà essere sottoposto alla disciplina relativa all’autorizzazione paesaggistica prescritta al momento della presentazione della domanda di sanatoria secondo la procedura di valutazione di compatibilità postuma descritta al comma 5 dell’art. 167.

E quindi l'accertamento di compatibilità paesaggistica degli interventi pre-vincolo seguirà una disciplina a sé stante e di creazione ministeriale, proceduralmente inquadrata nell’ambito dell’art. 167 D.Lgs. 42/2004, ma con alcuni rilevanti correttivi:

  1. non si applicano i limiti di cui alle lettere a), b) e c) del comma 4 dell’art. 167, ed è quindi ammessa la sanatoria paesaggistica di volumi e superfici;
  2. sono esclusi i profili sanzionatori, visto che non c’è illecito;
  3. deve applicarsi il solo comma 5 dell’articolo 167 integrato dal dettaglio procedurale contenuto nell’art. 146 del Codice.

La Regione Lazio ha declinato alla lettera i principi stabiliti dall’Ufficio legislativo del Ministero e sul sito web dell’area urbanistica si trova una pagina dedicata espressamente alla “Autorizzazione paesaggistica postuma per vincolo sopravvenuto”, con allegata la modulistica apposita per la presentazione della relativa istanza secondo le indicazioni ministeriali: la domanda è quindi predisposta ai sensi dell'art. 167, ma senza le limitazioni per superfici e volumi non autorizzati e senza la previsioni di sanzioni.

La posizione (composita) della giurisprudenza

La linearità della soluzione indicata dal Ministero non trova sempre riscontro nelle sentenze dei Giudici amministrativi, ma prima ancora nei pareri rilasciati dalle Soprintendenze a livello locale quando si trovano ad affrontare la problematica: se si giunge ad un contenzioso amministrativo, infatti, è perché alla base c'è un diniego rispetto all'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica.

Così, in alcuni casi è il Giudice (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 06/09/2021, n. 2732) a richiamare la Soprintendenza sul fatto che

il ricondurre la fattispecie alla previsione ex art. 167, d. lgs. n. 42 del 2004, con il conseguente obbligo di ripristino trattandosi di abusi non ricompresi nel comma 4 di detta disposizione, comporta, di fatto il considerare l'abuso edilizio (urbanisticamente rilevante) anche quale illecito paesaggistico, e ciò pur in assenza di uno specifico vincolo al quale conformarsi al momento della realizzazione delle opere. 

La lettura da seguire, in tali casi, è quindi quella indicata dal Ministero nei pareri citati sopra, ossia 

quella che postuli un inquadramento della vicenda nell'ordinario procedimento delineato dall'art. 146 d. lgs. n. 42 del 2004 (escluso il divieto di sanatoria ex post stabilito dal comma 4 che, come detto, vale solo per le violazioni paesaggistiche e non può trovare applicazione in un caso di insussistenza dell'illecito paesaggistico). (T.A.R. Sicilia, Catania, n. 2732/2021 cit.)

Ancora più aderente ai pareri ministeriali è la sentenza del T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 2 marzo 2020, n. 285, che alle difformità realizzate prima dell'apposizione del vincolo ritiene applicabile lo schema procedurale dell'accertamento di compatibilità di cui all'art. 167, senza le limitazioni previste dal comma 4:

anche in presenza di un ampliamento volumetrico (sussistente nel caso oggetto di causa), la valutazione ex art. 167 D. Lgs. 42/2004, ove relativa a un intervento edilizio posto in essere in epoca antecedente all'apposizione del vincolo (e dunque in una fattispecie non avente natura abusiva sotto il profilo paesaggistico), sarà ammissibile, non risultando sottoposta ai limiti previsti dal comma 4.

In altri casi, tuttavia, il Giudice dà ragione alla Soprintendenza che, applicando tout court la vigente versione dell’art. 167, nega la possibilità di ottenere l’accertamento di compatibilità paesaggistica ad opere difformi dal titolo edilizio, benché realizzate prima dell’apposizione del vincolo paesaggistico, qualora abbiano prodotto aumenti di volume o di superficie.

Infatti, fermo restando che i pareri del Ministero sulla sanabilità degli abusi ante-vincolo

non risultano certamente vincolanti per la Soprintendenza,

il punto è che

la compatibilità dell’opera da sanare, rispetto al regime di salvaguardia garantito da un vincolo paesaggistico al fine di verificare l’effettiva tutela del bene protetto, deve essere valutata alla data dell’esame della domanda di sanatoria. Pertanto, l’esistenza del vincolo va valutata al momento dell’esame della domanda di condono, con il risultato che, se non sussistono le condizioni di rispetto della normativa vincolistica in quel momento, il titolo in sanatoria non può essere assentito, anche se in ipotesi l’edificazione rispettava tale normativa al momento della sua realizzazione senza autorizzazione. (T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 30 giugno 2023, n. 480; cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 28 luglio 2022, n. 6671)

Affermazione che trae origine dall'orientamento consolidato in materia di condono edilizio, secondo cui 

l'obbligo di acquisire il parere dell'autorità preposta al vincolo in sede di rilascio dell'autorizzazione in sanatoria, ai sensi dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985, sussiste in relazione all'esistenza dello stesso al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono, a prescindere dall'epoca della sua introduzione, quindi anche per opere eseguite prima dell'apposizione del vincolo di cui trattasi (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8246; cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 6 settembre 2018, n. 5244; Consiglio di Stato, ad. plen., 22 luglio1999 , n. 20)

Conclusioni

I pareri del Ministero e la giurisprudenza intervenuta in materia, con riferimento agli interventi in difformità realizzati prima dell'apposizione di vincolo paesaggistico, sono concordi su alcuni principi:

  1. per conseguire la sanatoria edilizia, l'intervento deve ricevere anche un vaglio di compatibilità paesaggistica, in quanto il vincolo è operante al momento della richiesta di sanatoria;
  2. il modello procedurale per la valutazione paesaggistica postuma è l'accertamento di compatibilità paesaggistica di cui all'art. 167 del Codice.

La divergenza si registra sull'applicabilità o meno del comma 4 dell'art. 167, ossia sulla possibilità o meno di sanare, sotto il profilo paesaggistico, volumi o superfici illegittimamente realizzati.

I pareri del Ministero e la giurisprudenza che ad essi si richiama sottolineano che se quanto fatto non costituiva illecito al momento della sua realizzazione, non può diventare illecito successivamente in ragione di una disciplina sopravvenuta.

In tale orientamento risuona l'eco del principio di irretroattività della sanzione (art. 25 Costituzione: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso"), declinato anche in ambito amministrativo alla luce dei cosiddetti Engel criteria sulla qualificazione di sanzioni formalmente amministrative ma sostanzialmente penali.

In breve, il sillogismo che anima questa prima soluzione interpretativa è che se a) l'impossibilità di ottenere la sanatoria dipende da una norma sopravvenuta all'illecito e b) il rigetto della sanatoria apre la strada alla sanzione della rimessione in pristino, allora c) l'abuso verrebbe sostanzialmente punito in forza di una norma sopravvenuta.

Le sentenze più restrittive, invece, richiamano il principio tempus regit actum, per cui ogni istanza alla P.A. deve essere trattata in base alla normativa vigente al momento della sua proposizione.

Poco importa, quindi, che al momento della sua esecuzione l'intervento non costituisse un illecito sotto il profilo paesaggistico: l'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica dovrà essere vagliata in base alla normativa vigente, con i limiti di ammissibilità attualmente in vigore.

Tale secondo orientamento appare estremamente formalistico e, di fatto, conduce a ritenere illecito ciò che al momento della sua esecuzione illecito non era, negando in radice la possibilità di un accartamento di compatibilità.

A ciò si aggiunga che la soluzione indicata dai pareri ministeriali lascia impregiudicata la valutazione di compatibilità paesaggistica in capo alla Soprintendenza, che può ovviamente concludersi con parere negativo e condurre al ripristino dello stato dei luoghi.  

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