La ristrutturazione edilizia secondo il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia
C.G.A.R.S. 3 giugno 2025 n. 422
- La fattispecie
- Il giudizio di primo grado
- La sentenza T.A.R. Sicilia n. 948/2022: la demolizione e ricostruzione su altro lotto è nuova costruzione e non ristrutturazione.
- La sentenza C.G.A.R.S. n. 422/2025: la demolizione e ricostruzione su altro lotto è ristrutturazione.
- L'impatto della sentenza n. 422/2025 sul panorama giurisprudenziale
- Il percorso del legislatore dell'edilizia e la progressiva invasione del campo urbanistico
La fattispecie
Il 21 marzo 2022 il Comune di Marsala emette parere contrario al rilascio di un permesso di costruire per la realizzazione di un intervento di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione - senza aumento di volumetria - di un immobile su un altro lotto posto a 150 metri di distanza, per due ordini di motivi:
- l'indimostrata liceità di tutte le parti del fabbricato da demolire;
- l'irriconducibilità dell'intervento in questione alla fattispecie di cui all'art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. n. 380/2001.
Segue la determinazione del Comune del 17 giugno 2022 portante diniego del permesso di costruire, resa sulla scorta di due motivi, sostanzialmente coincidenti con quelli addotti con il primo atto:
- la mancata produzione di tutta la documentazione attestante lo stato dell'arte di alcune parti del fabbricato da demolire;
- la non riconducibilità dell'intervento ai casi di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. n. 380/2001.
Il 7 dicembre 2022 il Comune di Marsala esita negativamente l'istanza di riesame del provvedimento di diniego, ribadendo che l'intervento non rientra nei casi di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. n. 380/2001.
Il giudizio di primo grado
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione seconda, viene investito della questione con il ricorso R.G. n. 948/2022, dove vengono contestate:
- con il ricorso introduttivo:
- la determinazione S.U.E. del 9 marzo 2022, comunicata con nota S.U.A.P. del 21 marzo 2022, portante diniego di permesso di costruire;
- il parere contrario del funzionario direttivo P.O.;
- con il primo ricorso per motivi aggiunti:
- la determinazione del dirigente del settore pianificazione territoriale del Comune di Marsala del 17 giugno 2022, portate diniego del permesso di costruire in questione;
- tutti gli atti connessi, presupposti e conseguenziali tra i quali il parere
dell’Assessorato regionale del 4 febbraio 2022 e il parere dell’Ufficio legislativo e legale della Presidenza della Regione Siciliana del 28 gennaio 2022;
- con il secondo ricorso per motivi aggiunti:
- la determinazione del dirigente del settore pianificazione territoriale del Comune di Marsala del 7 dicembre 2022, di conferma del diniego del permesso di costruire;
- di tutti gli atti connessi e pregressi tra i quali il parere contrario del responsabile del procedimento del 15 ottobre 2022 e la determina del funzionario direttivo P.O. di conferma del parere contrario del 15 ottobre 2022, adottata nella seduta del gruppo di lavoro del 18 ottobre 2022.
I ricorrenti hanno censurato il provvedimento di diniego sostenendo:
- sotto il profilo della mancata dimostrazione della legittimità dell'edificio
- che essendo stato il fabbricato realizzato prima del 1° settembre 1967, epoca in cui non era necessario il rilascio del permesso di costruire, è illegittimo il riferimento alla mancata dimostrazione della liceità del fabbricato è eccessivamente generico;
- sotto il profilo della riconducibilità dell'intervento all'interno del perimetro della ristrutturazione edilizia
- che l'intervento in questione, consistente nella demolizione di un fabbricato sito su un lotto e la sua ricostruzione - senza incremento di volumetria - su altro lotto, rientra nella definizione di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. n. 380/2001, nella misura in cui la disposizione fa riferimento a un "diverso sedime";
- che il Comune di Marsala è dotato di un regolamento per la cessione di cubatura e il trasferimento di volumetrie, che consente la cessione di diritti edificatori e di cubatura tra aree non adiacenti, purché all'interno delle medesime zone territoriali omogenee, com'è nel caso di specie.
Il ricorso viene deciso con sentenza n. 948 depositata il 20 luglio 2023.
La sentenza T.A.R. Sicilia n. 948/2022: la demolizione e ricostruzione su altro lotto è nuova costruzione e non ristrutturazione.
Chiariti nei termini di cui in motivazione i confini della ristrutturazione edilizia di un edificio mediante demolizione e ricostruzione su diversa area di sedime, il T.A.R. Sicilia conclude per la collocazione dell’intervento in questione all'interno della fattispecie della nuova edificazione, sede dove potrà, se del caso, trovare applicazione la normativa richiamata dalla parte ricorrente in ordine alla cessione di cubatura, "che nulla ha a che vedere con la qualificazione giuridica dell’intervento per cui è controversia".
I giudici di primo grado giungono a questa conclusione attraverso il seguente percorso argomentativo:
- l’art. 10, co. 1, lett. b), D.L. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 120/2020, ha ridisegnato il perimetro della ristrutturazione edilizia sino a ricomprendervi anche interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con la dichiarata finalità di consentire la rigenerazione urbana e scongiurare, pertanto, il consumo di nuovo suolo anche tramite il riuso di suoli già urbanizzati;
- la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione è finalizzata a un intervento su un’area "il cui suolo è già stato consumato dall’esistenza di un edificio", come emerge dalla lettura dei lavoratori preparatori del D.L. n. 76/2020, sulla cui rilevanza a fini ermeneutici, si è espressa Corte cost., 14 giugno 2022, n. 147 (ibidem, 8 luglio 2020, n. 143);
- è alla luce di tali considerazioni che va inquadrata la ratio della ristrutturazione della demolizione e ricostruzione su diversa area di sedime, nel senso che "la modifica normativa non ha affatto inteso ricomprendere in tale fattispecie il - diverso caso - della demolizione di un edificio sito in un luogo, da ricostruire in un luogo del tutto diverso (più o meno distante dal primo); essa, piuttosto, ha ampliato la possibilità di riutilizzare, anche in modo particolarmente ampio, il suolo già consumato";
- diversamente opinando, affermano i giudici di primo grado, "andrebbe quasi a svanire il confine tra ristrutturazione edilizia e nuova edificazione", distinzione che, invece, rimane ferma anche nel sistema definito dalle recenti modifiche al testo unico dell’edilizia.
È sulla scorta di questo percorso, conclude il T.A.R. Sicilia:
- che è da considerarsi tuttora valida la distinzione tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione;
- che la differenza tra le due categorie consiste nel qualificare la ristrutturazione come "una serie di interventi rivolti a trasformare organismi edilizi" e la nuova costruzione "in una
trasformazione del territorio non caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto"; - che "il concetto di ristrutturazione non può", quindi, "ontologicamente prescindere dall’apprezzabile traccia di una costruzione preesistente, mancando la quale non si ravvisa il tratto distintivo e fondamentale che caratterizza la ristrutturazione rispetto alla nuova edificazione, atteso che la ristrutturazione è strumentale alla sempre più
avvertita esigenza di contenere il consumo di suolo";
- che il caso della traslazione dell’edificio ricostruito su un’area diversa da quella su cui insisteva l’immobile demolito non può pertanto essere ricompreso nella categoria della ristrutturazione edilizia, come chiarito in sede giurisdizionale seppure in vigenza della pregressa normativa (Cons. St., sez. IV, 4 febbraio 2021, n. 1047).
Sarebbe facile sottolineare che il percorso argomentativo descritto omette di considerare, accanto alle pur pregevoli argomentazioni esposte, il dato letterale dell'art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. n. 380/2001, valorizzando il tema del consumo di suolo che il Testo Unico dell'Edilizia declina più come finalità (artt. 2-bis, c. 1-quater, art. 14, c. 1-bis, art. 17. c. 4-bis) che come istituto regolante l'edificazione, peraltro introducendo un'argomentazione ("diversamente opinando") fallace, nel senso che assume come vero il conseguente senza interrogarsi se, alla luce delle novità apportate all'istituto della ristrutturazione edilizia dal D.L. n. 76/2020, non sia vero proprio ciò che si nega.
Ma tant'è: impugnata avanti il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana la sentenza del T.A.R. Sicilia viene riformata sin dai presupposti.
La sentenza C.G.A.R.S. n. 422/2025: la demolizione e ricostruzione su altro lotto è ristrutturazione.
Affrontando il tema di cui si discute, i giudici d'appello esordiscono affermando che:
Per verificare se la tesi dell’appellante sia o meno condivisibile occorre superare le tradizionali concezioni dell’istituto in esame.
In disparte ogni giudizio sulle conclusioni contenute nella sentenza, va da sè che l'affermazione costituisce un enunciato epistemologicamente corretto: se la portata del D.L. n. 76/2020 è così innovativa rispetto al dettato precedente - e lo è - non è possibile utilizzare parametri concettuali validi sotto la precedente legislazione, il cui sindacato di validità va posto al termine dell'argomentazione, non come premessa.
Definitivamente pronunciando sull'appello, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana lo accoglie, per l’effetto riformando la sentenza appellata con annullamento degli atti impugnati.
La sentenza può essere più facilmente valutata scindendo gli aspetti sui quali i giudici amministrativi erano chiamati a pronunciarsi. E, precisamente: la dimostrazione della legittimità, in tutto o in parte, dell'esistente, i confini della ristrutturazione edilizia dopo la novella del D.L. n. 76/2020, e l'ammissibilità, all'interno di tale perimetro, della traslazione di volumetria.
La dimostrazione dello stato legittimo dell'edificio
I giudici d'appello non considerano i profili connessi alla prima delle censure svolte in primo grado, ossia l'illegittimità del riferimento alla mancata dimostrazione della liceità del fabbricato essendo stato il fabbricato realizzato prima del 1° settembre 1967.
Non considerano la censura perché il giudice di primo grado aveva affrontato in prima battuta il nodo principale delle questioni sottopostegli, ossia la riconducibilità o meno dell’intervento alla nozione di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione su diversa area di sedime, contenuto nel secondo mezzo.
Risolto - negativamente - quel profilo non vi era motivo per affrontare il primo mezzo di ricorso, giusta l'assorbenza del secondo.
I (nuovi) confini della ristrutturazione edilizia
Il percorso argomentativo seguito dai giudici del C.G.A.R.S. per giungere alla conclusione secondo la quale la ristrutturazione edilizia post D.L. n. 76/2020 è altro rispetto alla nozione tradizionale non ricorre, ai fini ermeneutici, alla lettura dei lavoratori preparatori del D.L. n. 76/2020, ma muove direttamente dall'avere la novella del 2020 introdotto la possibilità della variazione del sedime tra i parametri modificabili dell'esistente.
Questa, in sintesi, l'esposizione:
- l'impostazione giurisprudenziale primigenia consentiva di qualificare come ristrutturazione edilizia gli interventi consistenti unicamente nella demolizione e fedele ricostruzione dell'esistente;
- l'evoluzione legislativa ha permesso di estendere i confini dell'istituto a interventi comprendenti - nel testo dell'art. 3 TUED anteriore al D.L. n. 76/2020 - la “demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”, con una evidente continuità tra la nuova opera e quella precedente alla demolizione;
- tale nozione è stata notevolmente ampliata per effetto delle innovazioni apportate all’art. 3, co. 1, lett. d) D.P.R. n. 380/2001 dall’art. 10, co. 1, lett. b), n. 2), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, includendo nel perimetro della ristrutturazione edile anche la demolizione e ricostruzione di edifici esistenti “con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico”.
Se, dunque, la ristrutturazione edilizia, per non coincidere con la nuova costruzione, doveva conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente - tra cui l'identità della complessiva volumetria del fabbricato e la copertura dell'area di sedime - senza alcuna variazione rispetto all'originario edificio, tale orientamento, concepito con riferimento ad una nozione di ristrutturazione edile diversa da quella attuale, è oggi mancante di postulati.
Le innovazioni apportate nel 2020 hanno infatti riscritto la stessa nozione di ristrutturazione nella misura in cui non è più richiesto il rispetto di tutti quei parametri originariamente ritenuti essenziali per la sua configurabilità, tra i quali, per l'appunto, il sedime.
La genericità dell'espressione ^sedime^
Sottolinea il C.G.A.R.S.:
la nozione di sedime richiamata nella nuova formulazione dell’art. 3 lett. d) D.P.R. n. 380/2001 è [...], molto generica e non riporta alcuna specificazione.
Da ciò il collegio non deriva un'attività di interpretazione della nozione, quanto "l’impossibilità di limitarne il concetto all’ambito perimetrale di un determinato lotto".
In realtà, il C.G.A.R.S., ritiene irrilevante interrogarsi sulla nozione di sedime, preferendo distinguere tre ipotesi:
- quella in cui il manufatto viene demolito e ricostruito, in tutto in parte, sul medesimo sedime;
- quella in cui il manufatto viene demolito e ricostruito su diverso sedime ma all'interno del medesimo lotto;
- quella, infine, in cui il manufatto viene demolito e ricostruito su diverso lotto.
Dato per scontato che per lotto edificabile si intende uno spazio fisico che prescinde dal profilo dominicale e che solo con il rilascio della concessione edilizia viene ad essere concretamente delimitato (T.A.R. Lombardia, MI, Sez. IV, 27 settembre 2018 n. 2163; Consiglio di Stato, Sez. V, 13 settembre 2013 n. 4531), partendo dalla tripartizione descritta la sentenza argomenta dalla circostanza per la quale il legislatore del 2020, pur introducendo la possibilità di operare con diverso sedime, non ha ritenuto di ammettere la ristrutturazione in caso di ricostruzione di un manufatto preesistente su un’altra area del medesimo lotto di terreno.
Se così fosse stato
allora la tesi restrittiva sostenuta dal T.A.R. nella sentenza appellata sarebbe stata condivisibile, essendo chiaro l’intento di non consentire siffatta attività edile laddove realizzata mediante la demolizione di un fabbricato sito in un certo terreno e la sua riedificazione su un altro terreno.
Ma poiché così non è, non resta che concludere, rispettando la genericità dell'espressione utilizzata dal legislatore - o, meglio, l'assenza di indicazioni che mirassero a limitare la portata dell'innovazione -, che "deve ritenersi possibile, in assenza di specifiche indicazioni contrarie, siffatta attività edificatoria anche mediante l’utilizzo di un’area diversa, anche se appartenente ad un altro lotto".
In tal senso, aggiunge la sentenza, depone il novero degli elementi di novità che possono contraddistinguere l’edificio ristrutturato, potendo quest’ultimo differire da quello originario per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche,
al punto da potersi desumere la volontà del legislatore di superare quell’originaria relazione di continuità strutturale che doveva necessariamente contraddistinguere l’immobile ricostruito rispetto a quello demolito.
Il consumo di suolo
La sentenza appellata valorizzava l'assetto del consumo di suolo alla luce della lettura dei lavoratori preparatori del D.L. n. 76/2020, sottolineando come la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione sia finalizzata a un intervento su un’area "il cui suolo è già stato consumato dall’esistenza di un edificio": in quest'ottica, consentire l'atterraggio di volumetrie generate dalla demolizione di edifici posti in altri lotti significherebbe autorizzare nuovo consumo di suolo, che è ciò che gli estensori del D.L. n. 76/2020 volevano evitare.
La sentenza di secondo grado mette ordine in questa affermazione: non può infatti ritenersi che la nuova concezione della ristrutturazione edile implichi “consumo di nuovo suolo”
poiché la scelta di ricostruire altrove presuppone pur sempre la necessità di demolire da un’altra parte e, pertanto, postula un bilanciamento tra l’edificio da realizzare e quello da eliminare.
La sentenza sottolinea la necessità del rispetto, in ogni caso, della suscettibilità volumetrica del suolo di atterraggio, circostanza che in qualche modo non tanto pone un dubbio sulla coerenza dell'argomentazione - poiché, se di ristrutturazione si tratta, non si vede per qualche motivo la dislocazione dovrebbe penalizzare la volumetria originaria -, quanto introduce un elemento di novità nel declinare diversamente, rispetto alla giurisprudenza maggioritaria, l'istituto, nella misura da un lato ^cartolarizza^ l'ingombro volumetrico originario e dall'altro richiede che la sua concretizzazione sia rispettosa delle previsioni dello strumento urbanistico.
Ciò che la sentenza non dice, ma che si può in qualche modo intuire, è che il lotto che genera la volumetria destinata ad atterrare su altro lotto perde definitivamente qualsiasi capacità edificatoria, rimanendo asservito alla edificazione sul nuovo lotto: l'assenza di strumenti legislativi di primo livello deputati a gestire gli esiti urbanistici del frazionamento dei lotti edificabili non facilita certamente l'operato degli enti locali a questo scopo, assegnando agli strumenti di pianificazione, che facessero dell'invarianza del consumo di suolo una delle matrici primarie del proprio disegno territoriale, il compito di cautelarsi anche sotto questo profilo in sede di scrittura delle regole.
Il che conferma le indicazioni di quella dottrina secondo la quale, in assenza di una normativa statale che assegni ai Comuni un ruolo guida nell’orientamento della legislazione regionale, le amministrazioni locali sono chiamate a svolgere la funzione di ^legislatori nazionali^, applicando principi urbanistici di portata universale a progetti che interessano porzioni di territorio (Boscolo, 2024).
La traslazione della volumetria nel caso specifico
Se è ovvio, a livello generale, che "la scelta di edificare altrove implica la necessità di rispettare le capacità edificatorie del terreno da utilizzare, salva la possibilità di ricorrere alla cessione di cubatura", il trasferimento della volumetria era previsto e regolamentato dal Regolamento del Comune di Marsala, il quale prevede che l’”Area di origine” o “Area sorgente” o “Area di decollo” e l’”Area di ricaduta” o “Area di Atterraggio” debbano essere "omogenee e che qualora ricadano in una zona classificata B/3 la distanza del fondo cessionario della cubatura rispetto al fondo cedente non sia superiore a metri lineari 1.500,00": il che è nel caso di specie, essendo i due fondi posti a 150 m di distanza.
In altre parole: che la volumetria destinata ad atterrare provenga da un lotto inedificato piuttosto che da uno edificato ha poca importanza, poiché sempre di trasferimento di volumetria si tratta, con l'unica accortezza, evidenzia la sentenza, che tanto nel primo che nel secondo caso vale il rispetto della suscettibilità edificatoria del fondo di atterraggio.
L'impatto della sentenza n. 422/2025 sul panorama giurisprudenziale
Non è scopo di questo articolo approfondire la correttezza, o meno, del percorso argomentativo seguito dagli estensori della sentenza C.G.A.R.S., nè se questa rispetti, o meno, i principi regolanti la legislazione edilizia come individuabile a partire dalla licenza di costruzione del 1942.
Compito di questo articolo è quello di mettere in evidenza la portata della sentenza n. 422/2025 rispetto al panorama giurisprudenziale come definibile a partire dal D.L. n. 76/2020 e, se possibile, di individuare le azioni necessarie per riportare il sistema a rispettare il principio di coerenza complessiva al quale l’individuo deve pur poter fare affidamento.
Lo stato della giurisprudenza può essere facilmente visualizzato attraverso questo grafico, redatto utilizzando le decisioni in materia di ristrutturazione edilizia e nuova costruzione relative a fattispecie post D.L. n. 76 dal 1° gennaio 2023 ad oggi (19 decisioni), escludendo quelle in presenza di vincoli.
È di assoluta evidenza il disallineamento della decisione rispetto al quadro prevalente.
Il percorso del legislatore dell'edilizia e la progressiva invasione del campo urbanistico
La sentenza del C.G.A.R.S. non sposta il perimetro della ristrutturazione edilizia di immobili non vincolati: condivisibile o meno, la sentenza riconosce il perimetro della ristrutturazione edilizia secondo il testo vigente dopo la novella del 2020.
Ora, il punto non è sposare l'orientamento allo stato assolutamente maggioritario piuttosto che quello del C.G.A.R.S.: il punto è comprendere la direzione dell'evoluzione.
In un'ottica di pianificazione sempre più incentrata sulla valorizzazione dell'edificato esistente e sempre meno sul consumo di nuovo suolo, la sentenza evidenzia il rischio che al legislazione vigente confini il permesso di costruire per nuove edificazioni a un ruolo marginale in uno con la corretta regolamentazione degli standard urbanistici, complici le normative derogatorie in tema di rigenerazione urbana.
Le preoccupazioni che gli urbanisti è ragionevole ritenere manifesteranno per la portata della decisione non possono essere supportate, sotto il profilo giuridico, invocando principi che andavano benissimo prima del D.L. n. 76 del 2020 ma che oggi si rivelano obsoleti: la pluralità e la non univocità delle motivazioni offerte dalla giurisprudenza per giustificare il rigido perimetro dell'istituto sono esse stesse sintomo della assenza di chiarezza normativa circa l'elemento distintivo tra nuova costruzione e ristrutturazione.
Dovrebbe piuttosto preoccupare l'indirizzo generale che ha assunto la produzione legislativa, il cui ultimo esito - il D.L. n. 69 del 2024, convertito dalla legge n. 105 del 2024 - mostra chiaramente l'invasione del settore urbanistico da parte di quello edilizio, come dimostra la parziale riscrittura dell'articolo 23-ter "Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante" del Testo Unico dell'Edilizia.
Questi:
- da un lato ammette "il mutamento di destinazione d’uso tra le categorie funzionali di cui al comma 1, lettere a), a-bis), b) e c), di una singola unità immobiliare ubicata in immobili ricompresi nelle zone A), B) e C) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444" (comma 1-ter);
- dall'altro, proprio con riferimento al comma 1-ter, svincola il mutamento di destinazione d'uso dall’obbligo di reperimento di ulteriori aree per servizi di interesse generale di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 e dalle disposizioni di legge regionali, in uno con la dotazione minima obbligatoria dei parcheggi previsto dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150.
Qui siamo al di là delle critiche mosse alle previsioni derogatorie dei Piani Casa (Colacicco- Greco-Rotondo, 2022): siamo alla saldatura del sistema, dove il D.L. n. 69 costituisce l'innesco di una miscela infiammabile, sino ad oggi difesa dai giudici amministrativi attraverso il ricorso a categorie di cui la sentenza C.G.A.R.S. sostiene l'obsolescenza.
Sotto questo profilo, la ripresa del percorso di riscrittura del nuovo Testo Unico dell'Urbanistica è importante ma non sufficiente, essendo urgente intervenire sul Testo Unico dell'Edilizia, in particolare sulle definizioni di cui all'articolo 3, di competenza strettamente statale ai sensi del comma 2.
In particolare, va affrontato e risolto il nodo degli esiti del combinato disposto delle novelle del 2020 e del 2024, declinando puntualmente il ricorso al permesso di costruire, convenzionato o meno, piuttosto che al piano attuativo, la misura degli standard, le forme di restituzione al territorio del maggior valore generato da interventi che nella maggior parte dei casi sono calati in ambiti ampiamente urbanizzati, le soglie di rilevanza dei mutamenti di destinazione urbanistica, la nozione stessa di immobile dismesso.
L'alternativa è una città frutto della somma di singoli episodi nati come edilizi ma che nel loro insieme sono espressione di una politica urbanistica che vede nel mercato il principale, se non l'unico, decisore.