Compatibilità paesaggistica e sanzione pecuniaria: Lombardia bocciata dalla Corte costituzionale.
Corte costituzionale, 19 febbraio 2024 n. 19.
La sanzione pecuniaria come alternativa al ripristino
Per lungo tempo la reazione del nostro ordinamento a fronte di opere eseguite in assenza di autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa, non consisteva necessariamente nella rimessione in pristino.
A norma dell’articolo 15 della Legge 29 giugno 1939, n. 1497, infatti:
Indipendentemente dalle sanzioni comminate dal codice penale, chi non ottempera agli obblighi e agli ordini di cui alla presente legge è tenuto, secondo che il ministero dell’educazione nazionale ritenga più opportuno, nell'interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche, alla demolizione a proprie spese delle opere abusivamente eseguite o al pagamento d’una indennità equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione.
Tale previsione è stata accolta anche dal Testo unico dei beni culturali e ambientali (D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490), che all'articolo 164, comma 1, prevedeva:
In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti da questo Titolo, il trasgressore è tenuto, secondo che la regione ritenga più opportuno, nell'interesse della protezione dei beni indicati nell'art. 138, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. La somma è determinata previa perizia di stima.
Anche il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), nella sua versione originaria, si è mosso nel solco della precedente disciplina. Prevede infatti l'articolo 167, comma 1:
In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza. il trasgressore è tenuto, secondo che l'autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica ritenga più opportuno nell'interesse della protezione dei beni indicati nell'articolo 134, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. La somma determinata previa perizia di stima.
La riforma del 2006: il ripristino sempre necessario e l'introduzione della 'sanatoria' paesaggistica.
Un cambiamento significativo della disciplina si avrà con le modifiche che il D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157, apporterà al testo dell’articolo 167 del Codice.
La rimessione in pristino diventa l’esito imprescindibile in caso di accertata violazione della disciplina paesaggistica, superando così la precedente disciplina che permetteva all’Amministrazione di optare, sulla base di una valutazione discrezionale, per il mantenimento dell’opera abusiva, a fronte del pagamento della sanzione pecuniaria.
La norma riformulata prevede:
In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4.
Il comma 4 dell'articolo 167 introduce una forma di sanatoria, o meglio di autorizzazione postuma, per il caso in cui l’opera, non autorizzata da un punto di vista paesaggistico, o realizzata in difformità dalla autorizzazione, risulti comunque compatibile sotto il profilo paesaggistico e non abbia creato superfici utili o volumi o aumento di quelli autorizzati:
L'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell' articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 .
In tali casi, secondo quanto previsto dal comma 5 dell'articolo 167:
Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.
L’accertamento di compatibilità paesaggistica regolarizza pertanto in via postuma l’opera sotto il profilo paesaggistico, a fronte del pagamento di una sanzione pecuniaria, commisurata - come nella disciplina previgente - al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito:
Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1.
Ciò per dire che, per quanto sia mutata la disciplina in materia di opere realizzate in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, il criterio di quantificazione della sanzione pecuniaria è rimasto immutato, commisurato sempre al maggiore importo tra danno arrecato e profitto conseguito, da determinarsi previa perizia di stima.
La quantificazione della sanzione: il D.M. 26 settembre 1997.
Un’utile guida per la determinazione della sanzione pecuniaria è il Decreto del Ministro dei beni culturali e ambientali, adottato di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, del 26 settembre 1997, recante “Determinazione dei parametri e delle modalità per la qualificazione della indennità risarcitoria per le opere abusive realizzate nelle aree sottoposte a vincolo”.
Per quanto emanato nella vigenza della Legge n. 1497/1939 e, in particolare, del suo articolo 15, il Decreto in questione mantiene intatta la sua utilità in quanto, come detto, il variare della disciplina non ha intaccato il criterio di determinazione della sanzione, rimasto immutato.
In particolare, l’articolo 2 del decreto prevede:
L'indennità risarcitoria di cui all'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, è determinata previa apposita perizia di valutazione del danno causato dall'intervento abusivo in rapporto alle caratteristiche del territorio vincolato ed alla normativa di tutela vigente sull'area interessata, nonché mediante la stima del profitto conseguito dalla esecuzione delle opere abusive.
In via generale è qualificato quale profitto la differenza tra il valore dell'opera realizzata ed i costi sostenuti per la esecuzione della stessa, alla data di effettuazione della perizia.
Ora, se la stima del danno causato dall’intervento abusivo è concetto abbastanza indefinito, più oggettiva risulta la stima del profitto conseguito, corrispondente alla differenza tra valore dell’opera e costi sostenuti per la sua esecuzione.
Il successivo articolo 3, al comma 1, del Decreto specifica inoltre:
Il profitto è pari, in via ordinaria, al tre per cento del valore d'estimo dell'unità immobiliare come determinato ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75, del decreto legislativo 28 dicembre 1993, n. 568, e della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
Il comma 2 disciplina poi la possibilità, per le amministrazioni competenti, di incrementare tale aliquota.
Le due fasi della sanatoria paesaggistica in Lombardia
A livello lombardo, l’articolo 83 della L.R. n. 12/2005, dedicato alle "Sanzioni amministrative a tutela del paesaggio", integra la previsione di cui all'articolo 167 del Codice sotto il profilo sanzionatorio, prevedendo che la sanzione pecuniaria debba essere sempre comminata, anche nel caso in cui l'intervento di cui si chiede la sanatoria non abbia prodotto un danno a livello apesaggistico:
L'applicazione della sanzione pecuniaria, prevista dall'articolo 167 del d.lgs. 42/2004, in alternativa alla rimessione in pristino, è obbligatoria anche nell'ipotesi di assenza di danno ambientale e, in tal caso, deve essere quantificata in relazione al profitto conseguito e, comunque, in misura non inferiore a cinquecento euro.
La modifica sostanziale della previsione lombarda interviene però ad opera dell’articolo 27 della L.R. 4 dicembre 2018, n. 17, che riscrive l’articolo 83 aggiungendo, accanto alla necessità di comminare la sanzione anche in ipotesi di assenza di danno ambientale, un criterio per la sua quantificazione particolarmente rigido. La norma riscritta prevede infatti che la sanzione pecuniaria
deve essere quantificata in relazione al profitto conseguito e, comunque, in misura non inferiore a all'ottanta per cento del costo teorico di realizzazione delle opere e/o lavori abusivi desumibile dal relativo computo metrico estimativo e dai prezzi unitari risultanti dai listini della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia, in ogni caso, con la sanzione minima di cinquecento euro.
La conseguenza pratica di tale modifica si apprezza sotto due aspetti:
- da un punto di vista formale/giuridico, significa che per la determinazione della sanzione pecuniaria, in assenza di danno, la Regione Lombardia adotta un proprio criterio (il costo di costruzione dell’opera) a prescindere dall'eventuale profitto conseguito dall'autore, nella misura in cui la sanzione deve essere determinata “comunque, in misura non inferiore all'ottanta per cento del costo teorico di realizzazione delle opere e/o lavori”;
- da un punto di vista sostanziale/quantitativo, significa che anche interventi privi di rilevanza paesaggistica, per quanto abusivi, scontano una sanzione particolarmente gravosa, basata com’è sul costo di costruzione e a prescindere da qualsiasi considerazione sul concreto impatto paesaggistico dell’opera o sul reale profitto conseguito dal suo esecutore.
Il caso deciso dalla Corte costituzionale
Nel caso portato all’attenzione della Corte Costituzionale, un intervento che - come pacificamente dichiarato anche dall'Amministrazione comunale - non ha arrecato danni ai valori protetti dal vincolo paesaggistico (si trattava di opere eseguite in assenza di autorizzazione paesaggistica e di permesso di costruire negli impianti di ventilazione di una cartiera esistente) ha portato, in sede di accertamento di compatibilità paesaggistica, a comminare una sanzione pecuniaria pari ad € 709.204,16, pari all'80% del costo teorico di costruzione ai sensi dell'articolo 83 L.R. 12/2005.
Situazione estrema ma ben nota agli operatori e ai proprietari che negli ultimi anni hanno presentato pratiche di compatibilità paesaggistica in Lombardia e si sono visti comminare sanzioni pecuniarie sproporzionate rispetto all’entità dell’abuso.
La declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 83 L.R. 12/2005
Stimolato da un’ordinanza di rimessione del TAR Lombardia, sezione di Brescia (dopo che un primo procedimento, nascente sempre da analoga vicenda processuale tra le medesime parti e dall’iniziativa del Giudice amministrativo bresciano, era stato dichiarato inammissibile con ordinanza n. 22/2023 del Giudice delle Leggi), l’intervento della Corte Costituzionale giunge a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’articolo 83 della L.R. 12/2005 per incompetenza delle Regioni a statuto ordinario a determinare la misura della sanzione pecuniaria di cui all’articolo 167 comma 5 del Codice in misura diversa da quanto stabilito a livello statale.
Le ragioni attraverso le quali si giunge a tale conclusione possono essere così sintetizzate:
- la misura prevista dall'articolo 167, comma 5, del Codice è una sanzione amministrativa pecuniaria di natura riparatoria e la norma regionale censurata incide sulla determinazione della misura di tale sanzione;
- la competenza a prevedere sanzioni amministrative non costituisce materia a sé stante, ma accede alle materie sostanziali alle quali le sanzioni si riferiscono; spetta dunque all'ente nella cui sfera di competenza rientra la disciplina la cui inosservanza costituisce l'atto sanzionabile prevedere e disciplinare le relative sanzioni;
- l'atto sanzionabile, nel caso di specie, è costituito dall'inosservanza della disciplina relativa alla tutela del vincolo paesaggistico-ambientale, e segnatamente dall'inosservanza delle norme che regolano l'autorizzazione paesaggistica;
- la disciplina sostanziale cui si riferisce la sanzione pecuniaria in questione deve necessariamente ascriversi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., per l'evidente interesse unitario alla tutela del paesaggio e a un eguale trattamento in tutto il territorio nazionale della tipologia di abusi paesaggistici suscettibili di accertamento di compatibilità.
Di qui la conclusione dell’illegittimità costituzionale dell’articolo 83 della L.R. 12/2005, là dove si discosta dal criterio di quantificazione della sanzione previsto dall’articolo 167, in quanto
Le ineludibili esigenze di uniformità di trattamento appena evidenziate impediscono al legislatore regionale di intervenire con norme difformi dalle previsioni statali di tutela paesaggistica in senso stretto (sentenza n. 201 del 2021), come quelle che disciplinano l'inosservanza del regime autorizzatorio.
Conclusioni
Vale la pena soffermarsi su due aspetti messi in luce dalla sentenza della Corte costituzionale.
Il primo riguarda le ragioni addotte da Regione Lombardia a sostegno della modifica dell’articolo 83 e dell’introduzione del contestato criterio di quantificazione della sanzione.
Secondo la Regione, si sarebbe così inteso superare le difficoltà applicative sorte in relazione a opere abusive che non arrecano alcun danno e dalle quali non deriva alcun profitto per il trasgressore. In questo senso, l’articolo 83 avrebbe colmato una lacuna normativa presente nell’articolo 167 del Codice.
Tesi, questa, non condivisa dalla Corte Costituzionale, la quale nega l'esistenza di una lacuna nella norma statale, ma che esprime le ragioni per cui il legislatore lombardo ha inteso introdurre una modifica legislativa di cui non era agevole individuare la motivazione, viste anche le conseguenze sproporzionate che la sua applicazione ha comportato.
Il secondo aspetto riguarda la portata della pronuncia di incostituzionalità.
L'illegittimità costituzionale dell'articolo 83 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 viene dichiarata con riferimento alle parole
e, comunque, in misura non inferiore all'ottanta per cento del costo teorico di realizzazione delle opere e/o lavori abusivi desumibile dal relativo computo metrico estimativo e dai prezzi unitari risultanti dai listini della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia, in ogni caso, con la sanzione minima di cinquecento euro.
Ad essere illegittima, nella disposizione lombarda, non è, quindi, unicamente la quantificazione della sanzione in misura non inferiore all’80% del costo di realizzazione, ma anche la previsione di un importo minimo indefettibile pari a 500 €.
A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, la disciplina lombarda in materia di accertamento di compatibilità si riallinea dunque a quella statale anche a livello sanzionatorio.
Il che a dire, come ricorda la Corte costituzionale, che interventi eseguiti in assenza di autorizzazione paesaggistica o in difformità dalla stessa che non abbiano prodotto danno ambientale né profitto potranno essere oggetto di accertamento di compatibilità paesaggistica senza previsione di sanzioni pecuniarie.