Occupazione senza titolo e prescrizione del risarcimento del danno

1 luglio 2023

Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 aprile 2023, n. 3965

Il Consiglio di Stato consolida, per quanto necessario, l'indicazione secondo la quale la condotta illecita di una Pubblica amministrazione che incida sul diritto di proprietà del privato, sia pure concretizzantesi in un'opera pubblica, costituisce un illecito permanente che, come tale, impedisce il decorso del termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Nulla di innovativo ma un'utile puntualizzazione, che consente di ripercorrere il percorso che ha portato all'attuale articolo 42-bis TU Espropri.

La fattispecie

I proprietari di un fondo di 6.000,00 mq nel territorio del Comune di Praia a Mare denunciano al TAR di Reggio Calabria che tale terreno risulterebbe annesso ad un impianto sportivo senza che il procedimento ablativo - iniziato con decreto di occupazione temporanea nel 2001 - si sia mai concluso con l'adozione di un decreto di esproprio, o di altro atto equivalente idoneo a trasferirne la proprietà.

Per tale motivo ne chiedono la restituzione, salva l'applicazione dell'art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001, e il risarcimento dei danni per la sua illegittima occupazione.

La decisione di primo grado

Con sentenza n. 1005 del 9 maggio 2016, il T.A.R. per la Calabria, Catanzaro, intima al Comune di rinnovare, entro trenta giorni dalla comunicazione e/o notificazione della sentenza, la valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico all'eventuale acquisizione del fondo, adottando, all'esito di essa, un provvedimento col quale lo stesso, in tutto od in parte, sia alternativamente:

  1. acquisito non retroattivamente al suo patrimonio indisponibile;
  2. restituito in tutto od in parte al legittimo proprietario entro novanta giorni, previo ripristino dello stato di fatto esistente al momento dell'apprensione.

Nel primo caso, il provvedimento di acquisizione avrebbe dovuto:

  • specificare se ad interessare è l'intero compendio occupato, o solo parte di esso, disponendo la restituzione del fondo rimanente entro novanta giorni, previo ripristino dello stato di fatto esistente al momento dell'apprensione;
  • prevedere che, entro il termine di trenta giorni, sia corrisposto al proprietario il valore venale del bene, nonché un indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale, forfetariamente liquidato nella misura del venti per cento del medesimo valore venale, detratte le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell'interesse legale;
  • recare l'indicazione delle circostanze che hanno condotto all'indebita utilizzazione dell'area e la data dalla quale essa ha avuto inizio e dovrà specificamente motivare sulle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione;
  • essere notificato al proprietario e comporterà il passaggio del diritto di proprietà, sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell'art. 20, comma 14, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327;
  • essere soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell'amministrazione procedente e sarà trasmesso in copia all'ufficio istituito ai sensi dell'art. 14, comma 2, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, nonché comunicato, entro trenta giorni, alla Corte dei conti, mediante trasmissione di copia integrale.

Sia nel caso a) che nel caso b), il provvedimento da emanarsi avrebbe dovuto altresì:

contenere la liquidazione, in favore del ricorrente ed a titolo risarcitorio, di una somma in denaro pari all'applicazione del saggio di interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dell'intero bene occupato per tutto il periodo di occupazione senza titolo, che decorre dalla scadenza del termine finale per l'espropriazione.

La sentenza di secondo grado

Scrutinando il terzo motivo d'appello, con la sentenza 19 aprile 2023, n. 3965, il Consiglio di Stato respinge l'eccezione di prescrizione svolta dall'amministrazione comunale secondo la quale il termine prescrizionale sarebbe iniziato a decorrere a partire dalla scadenza della dichiarazione di pubblica utilità.

Afferma il Collegio:

  • che "l'occupazione senza titolo di un bene, originariamente occupato per dare corso alla realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità e non acquisito alla proprietà pubblica mediante l'emanazione del decreto di esproprio, configura un illecito permanente i cui effetti lesivi si rinnovano di giorno in giorno finché perdura la situazione di illiceità"; 
  • che pertanto, fintanto che perdura l'occupazione, "non decorre la prescrizione del diritto al risarcimento del danno rinnovandosi quotidianamente la pretesa risarcitoria".

Dal che la conferma della decisione di primo grado.

L'espropriazione indiretta

L'istituto di origine giusprudenziale della cd. espropriazione indiretta contemplava due fattispecie: l’occupazione usurpativa e l'occupazione acquisitiva.

La prima era caratterizzata dalla assenza della dichiarazione di pubblica utilità e costituiva un illecito permanente.

La seconda godeva di un regime di favore nella misura in cui, essendo presente quantomeno un decreto di occupazione, l'acquisto alla mano pubblica si concretizzava nel momento della trasformazione irreversibile del bene, sanando così a titolo originario la proprietà del bene (Corte Cass., 26 febbraio 1983, n. 1464).

Fattispecie entrambe di dubbia compatibilità con quanto previsto dall'art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU, il quale ammette la privazione del diritto di proprietà esclusivamente "per causa di pubblica utilità" e soprattutto "nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale".

Con sentenza n. 735 del 19 gennaio 2015 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute stabilendo la natura di illecito permanente dell'occupazione acquisitiva, come tale non determinante il trasferimento della proprietà del bene all'Amministrazione.

L'acquisizione sanante secondo il T.U. Espropri

Per parte sua legislatore aveva introdotto, con l’articolo 43 del T.U. n. 327 del 2001, l’istituto della cd. acquisizione sanante, a norma del quale, "valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità", poteva disporre che esso andasse acquisito al suo patrimonio indisponibile e al proprietario risarciti i danni (comma 1).

Con sentenza 4-8 ottobre 2010, n. 293, la Corte Costituzionale ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale.

Il vuoto normativo è stato colmato dall’art. 34 del D.L. n. 98/ 2011 tramite l'introduzione nel TU. Espropri dell’articolo 42 bis, intitolato “Utilizzazione senza titolo di bene per scopi di interesse pubblico”.

La norma è finalizzata a consentire all'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico - modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità - di acquisirlo, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile, corrispondendo al proprietario "un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene", oltre un interesse del 5 % annuo sul valore venale del bene per il periodo di occupazione senza titolo.

L'istituto copre tanto l’occupazione usurpativa quanto l'occupazione acquisitiva, operando sia quando la procedura espropriativa sia assente, sia quando il vincolo preordinato all’esproprio sia annullato.

Nel 2015 la norma ha retto il vaglio della Corte costituzionale che, nella sentenza 11 marzo 2015 n. 71, ha respinto la questione di legittimità costituzionale ex artt. 2, 3, 24, 42, 97, 113 e 117 c.1 Cost. sollevata con distinte ordinanze dalla Corte di Cassazione e dal TAR Lazio, ritenendo l'istituto introdotto diverso da quello regolato dal precedente articolo 43.

La cessazione della condotta illecita

Appurato che la condotta illecita dell'Amministrazione incidente sul diritto di proprietà del privato non può comportare l'acquisizione del bene, che come tale configura un illecito permanente ai sensi dell'art. 2043 c.c. (v. Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 novembre 2022, n.9 483) e che l'articolo 42bis TUE opera autonomamente rispetto all'illecito, restano da puntualizzare gli eventi che determinano la cessazione della condotta illecita.

Come puntualmente indicato da Corte di Cassazione e Consiglio di Stato (Corte  Cass., S.U., 19 gennaio 2015 n. 735; Cons. Stato, A.P. 9 febbraio 2016 n. 2) questi consistono:

  1. nella restituzione del fondo;
  2. in un accordo transattivo;
  3. nella rinuncia abdicativa da parte del proprietario, da ritenersi implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte dell'irreversibile trasformazione del fondo;
  4. nella compiuta usucapione, "ma solo a condizione che sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta, si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis e si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del d.P.R. n. 327/2001 (ossia il 30 giugno 2003), per evitare che sotto mentite spoglie si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell'art. 1 prot. add. CEDU";
  5. in un provvedimento emanato ai sensi dell'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001.

In assenza di uno di questi eventi, il cittadino ha diritto a pretendere senza limitazioni temporali la restituzione del bene, costituendo tale richiesta la forma prioritaria di satisfazione del pregiudizio patito, fermo restando il potere dell’amministrazione di adottare il provvedimento di cd. acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 -bis del d.p.r. n. 327/2001.

L'obbligo di provvedere sull'istanza ex art. 42 bis T.U. Espropri

L'obbligo giuridico di provvedere ex art. 2 L. 241/90 sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l’adozione di un provvedimento e quindi tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni dell’amministrazione, qualunque esse siano.

Nei giudizi di tale natura il giudice amministrativo non può andare oltre la declaratoria di illegittimità dell’inerzia e l’ordine di provvedere; restando quindi precluso il potere di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere dal richiedente, sostituendosi all’amministrazione stessa.

Il che a dire, come evidenziato da T.A.R. Lazio, Sez. II, 19 gennaio 2018 n. 677, che:

Il proprietario di un immobile illecitamente occupato ed irreversibilmente trasformato non può [...] obbligare l’amministrazione alla stipula di un contratto di vendita ovvero chiedere la corresponsione del suo valore economico se continua ad essere formalmente proprietario del bene; né il giudice può condannare l’amministrazione all’emanazione del provvedimento ex art. 42 bis DPR 327/2001, in quanto di natura discrezionale, ma può solo imporre l’obbligo di provvedere sulla relativa istanza avanzata dai proprietari privati (TAR Basilicata n. 669/2017 e n. 4/2018).

In quest'ottica, il T.A.R. adito può invece, accogliendo il ricorso contro l'inerzia:

  • dichiarare l’obbligo di pronunciarsi sull’istanza come inoltrata, disponendo in alternativa la restituzione nello status quo ante della proprietà e il pagamento di quanto dovuto per l’illegittima loro occupazione oppure l’emanazione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis DPR n. 327/2001;
  • assegnare termine per pronunciarsi sull’istanza, disponendo, ai sensi dell’art. 117, c. 3 c.p.a., per il caso di inadempimento la nomina di commissario ad acta, il quale provvederà nel successivo termine assegnatogli.

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