Le distanze tra edifici nella bozza di T.U. delle Costruzioni

25 settembre 2023

Prime riflessioni sull'articolo 7 della bozza del nuovo Testo Unico delle Costruzioni

Sembrerebbe che i tempi siano maturi perchè il Testo Unico dell'Edilizia sia sostituito da un nuovo testo unico, denominato «delle Costruzioni».

Circola in rete, infatti, il testo del Tavolo Tecnico istituito presso il Ministero delle infrastrutture con lo scopo di scrivere una nuova legge quadro.

Tra le innovazioni più attese vi è quella relativa alla normativa delle distanze tra le costruzioni, oggi affidata all'articolo 9 del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, norma tecnica nata per definire i contenuti degli strumenti di pianificazione urbanistica ma declinata dalla giurisprudenza in termini di pervasità nei rapporti tra cittadini e tra cittadini e amministrazioni che i suoi estensori non immaginavano nè potevano immaginare.

In questa sede cerchiamo di fornire un primo quadro d'insieme delle novità della bozza del nuovo Testo Unico.


 

Il regime delle distanze nell'ordinamento attuale

È necessaria una premessa in ordine alla regolazione di profili civilistici e edilizi in presenza di normative che gli strumenti urbanistici sono obbligati a recepire o nei confronti delle quali la norma locale cede, fosse anche in presenza di una normativa contrastante.

È il caso delle disposizioni del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967”.

art. 9. Limiti di distanza tra i fabbricati 
Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.
Le distanze minime tra fabbricati tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
- ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
- ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
- ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

Le distanze tra edifici fissate dall’articolo 9 rispondono a esigenze di tipo pubblicistico e, come tali, sono coerenti con il perseguimento dell'interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile (Cons. Stato, Sez. IV, 07/06/2021, n. 4336).

La conseguenza è che le distanze in questione non solo sono implementate automaticamente all’interno degli strumenti urbanistici, ma vanno anche rispettate senza eccezioni che non siano quelle legislative, così che i privati non possono derogarvi se non nella misura in cui provvedano a stabilire in che misura si dovranno ripartire le distanze in questione tra i rispettivi fondi (Cass. civ., Sez. II, 06/11/2020, n. 24827).

Pattuizioni diverse non potrebbero che essere valutate in termini di nullità, come tale sempre deducibile, e non di annullabilità.

Fine della premessa.

Il regime delle distanze nella bozza del Testo Unico delle Costruzioni

La bozza del nuovo Testo Unico è composto da 142 articoli, non lontani dai 138 del vigente DPR 6 giugno 2001, n. 380.

In disparte disposizioni minori, in materia di distanze rilevano due norme:

  • l'articolo 141 «Abrogazioni»;
  • l'articolo 7 «Limiti di distanza tra i fabbricati».

L'articolo 9 del D.M. 1444? Abrogato.

Dispone l'articolo 141 della bozza di T.U. delle Costruzioni:

l. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati:
a) l'articolo 9 del Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967);
[...]

L'articolo 9 del D.M. 1444 è dunque abrogato nella sua interezza, mentre il decreto sopravvive per ogni altra previsione.

Il nuovo articolo 9: l'articolo 7 del T.U. delle Costruzioni. 

Dispone l'articolo 7 della bozza di T.U. delle Costruzioni:

1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile, con riferimento al diritto di proprietà, alle relative norme del Codice Civile e alle disposizioni integrative, i limiti di distanza tra i fabbricati sono stabiliti come segue:
a) per le nuove costruzioni, la distanza minima tra la parete finestrata del nuovo edificio e le pareti di edifici antistanti, ancorché queste ultime non finestrate, è fissata in 10 metri, fatto salvo quanto specificato al comma 2;
b) per gli interventi sugli edifici esistenti, ivi compresi quelli consistenti in opere di demolizione  ricostruzione, parziale o totale, è ammessa la conservazione della distanza preesistente, fatto salvo quanto specificato al comma 3.
2. Alle nuove costruzioni si applicano le seguenti disposizioni: 
a) sono ammesse distanze inferiori a quelle previste al comma l, lettera a), in attuazione di piani attuativi o atti equivalenti comunque denominati, comprendenti previsioni planivolumetriche, anche con riferimento alle pareti finestrate di edifici posti all'esterno del perimetro dello strumento attuativo, qualora ciò sia espressamente previsto dal medesimo strumento attuattivo; 
b) sono altresì ammesse distanze inferiori a quelle previste al comma l, lettera a), anche per interventi di nuova costruzione da attuarsi mediante intervento urbanistico-edilizio diretto, ove realizzati in attuazione di specifiche normative regionali atte a favorire processi di rigenerazione o di riqualificazione di tessuti edificati, ovvero in specifici ambiti urbani individuati dai Comuni;
c) nei casi diversi da quelli di cui alle lettere a) e b), al di fuori delle parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o solo parzialmente edificate comunque denominate dalla normativa regionale e locale, deve essere osservata una distanza pari all'altezza del fabbricato più alto tra quello di progetto e quello esistente sul lotto finitimo, qualora gli edifici in questione si fronteggino per uno sviluppo superiore a metri 12.
3. Per gli interventi su edifici esistenti, anche nel caso di demolizione e ricostruzione, parziale o totale, del fabbricato preesistente, qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell'area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, è consentito: 
a) negli interventi urbanistico-edilizi comunque denominati comportanti la modifica della sagoma, l'eventuale incremento della distanza preesistente, ancorché inferiore a quella minima prevista al comma l, lettera a);
b) la realizzazione degli incentivi volumetrici o di superficie eventualmente previsti dagli strumenti urbanistici, o da specifiche nornative statali e regionali, per finalità di riqualificazione, riuso e recupero del patrimonio edilizio esistente, che possono essere realizzati con ampliamenti fuori sagoma o in sopraelevazione, anche con il
superamento dell'altezza massima dell'edificio preesistente e dei limiti di densità edilizia, purché sia garantito il rispetto delle distanze precsistenti o la collocazione delle parti aggiunte ad una distanza maggiore di quella preesistente, ancorché inferiore a quella minima prevista al comma l, lettera a).
4. Per parete finestrata si intende qualsiasi fronte dell'edificio provvisto di una o più vedute, come definite dall'articolo 900 del Codice Civile, o altri elementi della costruzione che consentono l'affaccio verso l'esterno, quali logge, balconi, terrazze, portici o porticati, ancorché privi di infissi.
Non sono da considerarsi pareti finestrate: 
a) i fronti nei quali sono presenti solo aperture costituenti luci ai sensi degli articoli 900 e 901 del Codice Civile, oppure aperture con sola funzione di accesso, purché tamponate con infissi non trasparenti alla luce;
b) le coperture degli edifici, comunque configurate, ancorché provviste di aperture o di affacci esterni, ovvero di punti di accesso quali abbaini, finestre a tetto e simili;
c) le pareti che delimitano volumi tecnici, ancorché provviste di aperture esterne per l'ispezione o per altre esigenze tecnico-funzionali.
5. La distanza minima ammissibile tra fabbricati è calcolata:
a) nei confronti di pareti di edifici antistanti presenti su lotti finitimi, ortogonalmente alle pareti finestrate di riferimento presenti su ciascun lotto; 
b) nei confronti di altri edifici, non antistanti, presenti su lotti finitimi, nella misura minima stabilita dal Codice Civile, salvo maggiorazioni disposte dagli strumenti urbanistici comunali. Detta distanza è calcolata come segmento minimo intercorrente tra i profili perimetrali esterni degli edifici stessi, secondo la definizione di cui al comma 6.
6. Il profilo perimetrale esterno della parete finestrata assunto a riferimento per il calcolo della distanza minima ammissibile comprende balconi, ballatoi e aggetti praticabili di qualsiasi natura.
Non rilevano in ogni caso, ai fini della distanza minima, oltre ai volumi tecnici:
a) i maggiori spessori delle pareti perimetrali, derivanti dall'apposizione di elementi quali strati isolanti termici, pareti ventilate e simili, e comunque tutti i maggiori spessori, volumi e superfici finalizzati al miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici ai sensi delle disposizioni statali e regionali emanate in attuazione delle direttive Comunitarie in materia di efficienza energetica, secondo quanto disposto dall'articolo 130, comma 5;
b) i maggiori spessori delle pareti perimetrali e gli elementi edilizi in genere posti all'esterno della sagoma degli edifici per finalità di consolidamento strutturale;
c) le corniciature, elementi ornamentali e sporti di qualsiasi natura, purché con aggetto non superiore a metri 1,50 dal profilo perimetrale esterno dell'edificio;
d) le canalizzazioni esterne per impianti poste sulle facciate degli edifici, ivi comprese eventuali installazioni finalizzate all'infrastrutturazione digitale degli edifici.
7. Ai fini del calcolo delle distanze minime di cui al presente articolo non rilevano altresì:
a) i volumi tecnici, manufatti pertinenziali o adibiti ad usi accessori, legittimamente presenti, o previsti dal progetto, sul lotto di intervento, o presenti su quelli finitimi, purché con altezza non superiore a metri tre misurata nel punto più alto; 
b) i manufatti facilmente amovibili legittimamente realizzati o da realizzare su aree pubbliche o di uso pubblico, quali chioschi, edicole, pensiline per il trasporto pubblico, elementi di arredo urbano coperti;
c) gli edifici e i manufatti edilizi di qualsiasi natura, o le parti dei medesimi, realizzati in assenza o in totale difformità dal titolo abilitativo, anche nelle more della definizione di qualsivoglia istanza di sanatoria o regolarizzazione; tali consistenze non inficiano in alcun modo la legittima progettazione ed esecuzione dell'intervento sul fondo finitimo;
d) i manufatti esterni necessari per il superamento delle barriere architettoniche, quali ascensori esterni e rampe.
8. Non rientrano nel computo delle distanze minime le tolleranze di costruzione, nei limiti stabiliti dall'articolo 42 e dalle correlate norme regionali. 

Di particolare interesse è la nota in calce alla disposizione.

Il presente articolo - che tiene conto anche delle modifiche introdotte dalla legge 120/2020, di conversione del c.d. 'Decreto Semplificazione', volte a favorire processi di rigenerazione urbana - è finalizzato all'integrale superamento dell'art. 9 del D.M. 1444168, puntando a risolvere molte delle principali, perduranti, problematiche interpretative in materia di distanze tra edifici (definizione di 'parete finestrata', criteri di calcolo della distanza, rilevanza di specifiche componenti dell'edificio, rilevanza o meno di manufatti presenti su lotti
finitimi, disposizioni atte a regolare il c.d. 'principio di prevenzione'). Riguardo alla necessità di provvedere alla contestuale abrogazione dell'art. 9 del D.M. 1444/68 (cfr. art 139) e alla rettifica di alcune definizioni contenute nell'intesa del 20 ottobre 2016 concernente l'adozione del regolamento edilizio-tipo (RET) l'Ufficio Legislativo MIT potrà valutare quale sia la migliore soluzione in termini di tecnica legislativa.

Alcune primissime considerazioni di ordine generale

Le novità rispetto al D.M. 1444

Avremo modo di analizzare nel dettaglio il contenuto dell'articolo 7 della bozza di T.U..

Preme piuttosto, in questa sede, evidenziare come, rispetto all'articolo 9 del D.M. 1444, l'articolo 7 della bozza del nuovo T.U. preveda:

  • l'universalità della previsione per le nuove costruzioni (comma 2), senza più distinzioni tra zone omogenee, fatte salvo le disposizioni di cui alla lettera c) del medesimo comma, che riprende la previsione dell'articolo 9 del D.M. per le zone C;
  • la regolazione degli interventi sugli edifici esistenti, per i quali è ammessa la conservazione della distanza preesistente, (comma 3);
  • la definizione di parete finestrata (comma 4);
  • la definizione dei criteri di calcolo della distanza minima ammissibile tra fabbricati (comma 5);
  • la specificazione di cosa deve intendersi per profilo perimetrale esterno della parete finestrata per il calcolo della distanza minima (comma 6);
  • la categorizzazione delle esclusioni ai fini del calcolo delle distanze minime (comma 7);
  • l'esclusione delle tolleranze di costruzione, nei limiti stabiliti dall'articolo 42 (Tolleranze di costruzione e tutela dell’affidamento) e dalle  normative regionali. 

L'inderogabilità dell'articolo 7 e la sua integrazione con il regime civilistico delle distanze

Per ammissione degli estensori della bozza, l'articolo 7 del nuovo T.U. mira non tanto a riscrivere l'articolo 9 del D.M. ma a superarne le «problematiche interpretative».

In realtà, va detto, le problematiche non attengono tanto alla interpretazione dell'articolo 9 quanto alla sua applicazione, lontanissima dalle intenzioni del legislatore italiano che,  successivamente ai fatti di Agrigento del 1966, intervenne sulla Legge urbanistica del 1942 fornendo indicazioni inderogabili per la formazione degli strumenti urbanistici (art. 41-quinquies L.U.).

Nata come norma rivolta agli estensori dei piani urbanistici, l'articolo 9 del D.M. 1444 ha assunto il ruolo di disciplina integrativa dell'art. 873 c.c., come tale idonea ad incidere sui rapporti interprivatistici, con conseguente obbligo per il giudice di merito di darne attuazione imponendo l'arretramento di quanto edificato oltre i limiti anche in presenza di normative locali contrastanti con l'articolo 9.

Da una prima lettura della bozza di Testo Unico è possibile affermare che questo quadro non viene mutato: in quanto collocato nel Titolo I, l'articolo 9 costituisce espressione dei principi fondamentali della legislazione statale e come tale, fatta eccezione per le competenze espressamente attribuite dal Titolo II alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, non diversamente declinabile o derogabile.

Art. 2 - Competenze delle Regioni e degli enti locali
1. Fermo restando quanto specificato all’articolo 1, i contenuti di cui ai Titoli I e II della presente legge afferenti alla materia del governo del territorio costituiscono principi fondamentali della legislazione statale, fatta eccezione per le competenze espressamente attribuite dal Titolo II alla potestà legislativa concorrente delle Regioni. Le disposizioni di
dettaglio contenute nel Titolo II, afferenti alle competenze  espressamente attribuite alle Regioni a statuto ordinario, operano direttamente fino ad adeguamento della legislazione regionale.

I 10 metri come distanza minima

Inalterata è anche la distanza minima di 10 metri che le nuove costruzioni, a norma del comma 1 dell'articolo 7, debbono rispettare in presenza di edifici antistanti, ancorché non finestrati.

T.U. Costruzioni (bozza)

Art. 7 - Limiti di distanza tra i fabbricati

D.M. 1444/1968 

art. 9 - Limiti di distanza tra i fabbricati

1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile, con riferimento al diritto di proprietà, alle relative norme del Codice Civile e alle disposizioni integrative, i limiti di distanza tra i fabbricati sono stabiliti come segue:

a) per le nuove costruzioni, la distanza minima tra la parete finestrata del nuovo edificio e le pareti di edifici antistanti, ancorché queste ultime non finestrate, è fissata in 10 metri, fatto salvo quanto specificato al comma 2;

b) [...]

Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): [...]

2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;

3) Zone C): [...]

Le categorie dellae nuove costruzioni e degli interventi sugli edifici esistenti

L'articolo 7 dedica alle «nuove costruzioni» (espressione che sostituisce quella di «nuovi edifici») il comma 2 e agli interventi su edifici esistenti il comma 3.

La bipartizione è un evidente tentativo di reazione all'unanime indicazione giurisprudenziale secondo la quale la variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio, e, in particolare, aumenti della volumetria danno luogo all'ipotesi di «nuova costruzione», come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze (per tutti, C. Cass., Sez. II civile, 19/10/2015 n. 21119).

La disposizione del comma 2 è composta:

  • da una previsione relativa alle nuove costruzioni che, quando realizzate «in attuazione di piani attuativi o atti equivalenti comunque denominati» (e quindi anche di permessi di costruire convenzionati: cfr. art. 28bis DPR n. 380/2001), possono derogare (senza limiti che a questo punto non siano i 3 metri civilistici) ai 10 metri di cui al comma 1 «anche con riferimento alle pareti finestrate di edifici posti all’esterno del perimetro dello strumento attuativo, qualora ciò sia espressamente previsto dal medesimo strumento attuativo» (comma 1);
  • da una analoga previsione relativa per gli interventi di nuova costruzione da attuarsi mediante intervento urbanistico-edilizio diretto, «ove realizzati in attuazione di  specifiche normative regionali atte a favorire processi di rigenerazione o di riqualificazione di tessuti edificati, ovvero in specifici ambiti urbani individuati dai Comuni» (comma 2);
  • da una terza previsione che, riprendendo la disposizione dell'articolo 9 del D.M. per le zone C, impone il rispetto della distanza pari all’altezza del fabbricato più alto tra quello di progetto e quello esistente «sul lotto finitimo» (espressione vaga per la sua parte), qualora gli edifici in questione si fronteggino per uno sviluppo superiore a metri 12 e siano collocati (uno, entrambi?) «al di fuori delle parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o solo parzialmente edificate» (espressione dai contorni decisamente oscuri), «comunque denominate dalla normativa regionale e locale».

La disposizione del comma 3 regola le fattispecie nelle quali - nel caso di interventi su edifici esistenti dove «le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini» (espressione che è facile pronosticare foriera di contenziosi) - è consentito:

  1. l'incremento della distanza preesistente, ancorché inferiore a quella minima di 10 metri, qualora si sia in presenza di interventi comportanti la modifica della sagoma;
  2. «la realizzazione degli incentivi volumetrici o di superficie eventualmente previsti dagli strumenti urbanistici, o da specifiche normative statali e regionali, per finalità di riqualificazione, riuso e recupero del patrimonio edilizio esistente, che possono essere realizzati con ampliamenti fuori sagoma o in sopraelevazione, anche con il superamento dell’altezza massima dell’edificio preesistente e dei limiti di densità edilizia, purché sia garantito il rispetto delle distanze preesistenti o la collocazione delle parti aggiunte ad una distanza maggiore di quella preesistente, ancorché inferiore a quella minima prevista al comma 1, lettera a).»

La lettera b) del comma 3 è difficilmente commentabile, tanto è involuta linguisticamente.

Le distanze dai manufatti abusivi

La giurisprudenza formatasi sotto l'articolo 9 del D.M. 1444 indica come irrilevante, ai fini delle distanze, che l'edificio frontistante sia abusivo (cfr. Cass. civ., Sez. II, 04/02/2021, n. 2637; id. 04/09/2014 n. 18689)

Ribaltando questa impostazione, la lettera c) dell'articolo 7 della bozza di T.U., dispone che  ai fini del calcolo delle distanze minime non rilevano:

c) gli edifici e i manufatti edilizi di qualsiasi natura, o le parti dei medesimi, realizzati in assenza o in totale difformità dal titolo abilitativo, anche nelle more della definizione di qualsivoglia istanza di sanatoria o regolarizzazione; tali consistenze non inficiano in alcun modo la legittima progettazione ed esecuzione dell’intervento sul fondo finitimo;

L'assunto alla base della giurisprudenza citata è che il D.M. non regola l'ordinata disposizione delle costruzioni sul territorio, ma la salubrità dei locali che, se la distanza venisse violata, vedrebbero diminuiti luce ed aria: questo è il fondamento dell'irrilevanza dell'abusività del manufatto frontistante.

Nella bozza di Testo Unico questo assunto viene ribaltato, nell'ottica di impedire che comportamenti contra legem possano essere lesivi di legittime aspettative altrui.

L'aspirazione è comprensibile ma, anche volendo dimenticare per un attimo la finalità della norma, dimentica che nella realtà degli enti locali le demolizioni sono evento rarissimo e che, pertanto, legittimo o illegittimo che sia l'intervento del vicino, chi intende costruire sul proprio fondo a distanza inferiore da quella di legge subirà consapevolmente un disagio dato dalla vicinanza tra le costruzioni.

Tutto ciò senza entrare nella discussione relativa all'interpretazione delle disposizioni contenute nel nuovo articolo 41 «Totale o parziale difformità dal titolo abilitativo», ossia se l'intervento abusivo rientra o non rientra in queste, vero che in presenza di difformità minori non ^coperte^ dall'articolo 41 la deroga in questione non opererebbe.

In conclusione: riscrittura della normativa edilizia e riforma della legge urbanistica.

L'intento degli estensori della norma di intervenire sulle discrasie applicative dell'articolo 9 del D.M. 1444 è certamente lodevole, la scelta di metodo non altrettanto.

Come più volte, inutilmente, sottolineato dalla dottrina (Mengoli, 2014), l'orientamento della Corte di Cassazione che ha attribuito effetto normativo immediato e autonomo al D.M.

non appare [...] condivisibile, visto il chiaro disposto letterale dell'art. 41-quinquies della L.U. e visto anche che comunque il D.M. n. 1444 non ha in sè forza di legge tra i privati, né è norma integrativa locale.

Inseguire la giurisprudenza, come hanno fatto gli estensori della bozza, è uno sforzo vano per la natura vivente della stessa: altre, e forse anche più complesse, problematiche interpretative potrebbero in futuro aprirsi sul nuovo testo e non è immaginabile porvi rimedio ogni volta legiferando.

Più corretto sarebbe, in un'ottica di sistema, prendere atto che una riscrittura profonda del T.U. dell'edilizia non può non essere preceduta da una nuova legge urbanistica, risalente nel suo impianto al 1942.

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