Recupero dei sottotetti e distanze dai confini

23 dicembre 2019

Corte d'Appello di Milano, sentenza n. 3952 del 23 agosto 2018

La Corte d'Appello di Milano, confermando il Tribunale di Lecco, afferma che il recupero dei sottotetti effettuati ai sensi della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005 è soggetto al rispetto della distanza dai confini, nella misura prevista dal Piano di Governo di Territorio, nonostante la legge regionale disponga che detti interventi siano ammessi "in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale vigenti ed adottati".

La disciplina derogatoria del recupero dei sottotetti

Dispone l'articolo 64, comma 1, della legge regionale della Lombardia n. 12/2005 che gli interventi edilizi finalizzati al recupero volumetrico dei sottotetti

possono comportare l’apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare l’osservanza dei requisiti di aeroilluminazione e per garantire il benessere degli abitanti, nonché, per gli edifici di altezza pari o inferiore al limite di altezza massima posto dallo strumento urbanistico, modificazioni di altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, unicamente al fine di assicurare i parametri di cui all’articolo 63, comma 6

ossia l’altezza media ponderale di metri 2,40, ridotta a metri 2,10 per i comuni posti a quote superiori a seicento metri di altitudine sul livello del mare.

Dispone altresì il successivo comma 2 che il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti:

  • è classificato come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 27, comma 1, lettera d);
  • non richiede preliminare adozione ed approvazione di piano attuativo;
  • è ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale vigenti ed adottati, ad eccezione del reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali.

Recupero sottotetti e distanze da edifici

In disparte quale isolata pronuncia all'indomani della approvazione della normativa regionale sul recupero dei sottotetti, che faceva leva sulla natura di intervento di ristrutturazione degli stessi, è ampiamente consolidata in giurisprudenza, tanto amministrativa che civilistica, l'affermazione secondo cui la disciplina sulle distanze minime tra edifici non può considerarsi derogata da una legislazione regionale sul recupero dei sottotetti a fini abitativi.

L'art. 9 d.m. 1444/1968 - che fissa i limiti di distanza tra i fabbricati - è infatti norma di principio tale da costituire limite alla potestà legislativa regionale concorrente in materia di governo del territorio.

In quest'ottica, ancorché ammesso in deroga alle norme locali, il recupero del sottotetto che comporti un sopralzo del tetto è soggetto al rispetto della distanza di 10 metri tra pareti finestrate ai sensi dell'art. 9 d.m. n. 1444 del 1968, obbligo non superabile nemmeno con il consenso convenzionale tra privati confinanti (T.A.R. Lombardia, Milano, sezione II, 26/04/2007, n. 1991).

Il quadro va completato con l'interpretazione dell'art. 9 autentica fornita dall'art. 5, comma 1, lettera b-bis), della legge n. 55 del 2019, secondo cui le disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, si interpretano nel senso che, quando intercorrono strade, i limiti di distanza tra i fabbricati previsti per le zone C e le altre zone non si applicano alle zone A.

Recupero sottotetti e distanze da confini

All'indomani della prima legge lombarda sul recupero dei sottotetti (l. reg. Lombardia, 15 luglio 1996, n. 15), i giudici amministrativi lombardi qualificarono il recupero del sottotetto di edificio esistente, pur con rialzo del medesimo, come ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dall'art. 3, comma 2, della l. reg. Lombardia, 15 luglio 1996, n. 15, con la conseguenza secondo cui non trovava applicazione la disciplina delle distanze dai confini e non esistono potenziali controinteressati (T.A.R. Lombardia Brescia, 18/7/2002, n. 1176).

La decisione interveniva successivamente ad altra del medesimo TAR Brescia secondo cui, in ragione della «ontologica diversità tra sopralzi e nuovi edifici» (TAR Lombardia, Brescia, 7/9/2001, n. 771), il sopralzo non ricade nella disciplina di cui all'articolo 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, così che 

non necessita la verifica della distanza dal confine in caso di sopralzo, in presenza di una norma locale che lo consenta sul filo della facciata di costruzioni esistenti.

Diverso l'approccio del Tribunale di Como secondo cui l’intervento di recupero del sottotetto esistente, autorizzato ai sensi della l.r. 12 del 2005, essendo “ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale vigenti ed adottati” (art. 64, c. II), se non deroga alle distanze di cui al D.M. 1444/1968, articolo 9, deroga invece alle locali distanze dai confini (Tribunale di Como, sezione distaccata di Menaggio,ordinanza 23/11/2012 n. 359/11 R.G. Cont.).

La sentenza n. 3952/2018 della Corte d'Appello di Milano

La fattispecie all'attenzione della Corte d'Appello di Milano riguarda un recupero di sottotetto con superamento in altezza dell'edificio preesistente, non rispettoso, ad avviso del confinante, della distanza minima di mt. 5 prescritta dalle N.T.A. del Comune di Mandello del Lario.

Confermando la decisione di primo grado (Tribunale di Lecco, 26 marzo 2016 n. 216), la Corte d'Appello afferma che il recupero dei sottotetti effettuato ai sensi della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005 è soggetto al rispetto della distanza dai confini, nella misura prevista dagli strumenti urbanistici locali, nonostante la legge regionale disponga che detti interventi siano ammessi "in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale vigenti ed adottati".

La premessa è che ai fini civilistici è indifferente la qualificazione dell'intervento effettuata dal legislatore dell'urbanistica: la sopraelevazione, quale che sia il titolo che la autorizza,

comporta pur sempre, anche se di dimensioni ridotte, un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e quindi anche per la disciplina delle distanze, come nuova costruzione.

Gli artt. 63 e 64 della legge Regione Lombardia n. 12/2005 devono infatti interpretarsi, in ossequio alle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza ordinaria e amministrativa,

nel senso che essa consente la deroga ai limiti e alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie di cui al regolamento locale ovvero al piano regolatore locale, fatto salvo il rispetto della disciplina civilistica in materia di distanze, essendo quest'ultima inerente all'ordinamento civile e rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, con la conseguenza che tale deroga non può operare nei casi in cui lo strumento urbanistico riproduce disposizioni normative di rango superiore (Corte Costituzionale, ordinanza n. 173 del 19.5.2011).

In buona sostanza, secondo il Tribunale di Lecco e la Corte d'Appello di Milano, nel momento in cui gli enti locali fissano una misura da rispettarsi tra le costruzioni e i confini concretizzano la facoltà loro rimessa dall'art. 873 del codice civile secondo cui negli strumenti urbanistici può essere stabilita una distanza tra le costruzioni maggiore ai tre metri.

Trattandosi dell'estensione di una normativa civilistica, la norma locale non può derogare nè essere derogata, assunta com'è al rango superiore di competenza del legislatore nazionale.

La via d'uscita offerta dalla Corte di Cassazione

Il problema non è se la sopraelevazione, comportando un aumento della volumetria preesistente e della complessiva sagoma di ingombro, soggiace alla disciplina delle distanze: la questione è pacifica.

Il problema è se il sistema delineato dall'intreccio tra sistemi che perseguono finalità differenti (quello civilistico, che mira a garantire salubrità agli spazi tra gli edifici, e quello urbanistico, che mira a garantire salubrità ai locali di cui sono composti gli edifici), possano essere interpretati sino a coprire fattispecie che non rientrano a tutta evidenza tra quelle normate.

Nè il codice civile (art. 873 c.c.) né il il d.m. 1444/1968 disciplinano la distanza degli edifici dai confini: il primo parla di costruzioni su fondi finitimi, il secondo di distanze minime tra fabbricati.

Sono i regolamenti locali che disciplinano, nemmeno sempre, le distanze degli edifici dai confini e sono i regolamenti locali oggetto della deroga contenuta nel secondo comma dell'art. 64 della l. reg. Lombardia n. 12/2005.

Sostenere, come fa la Corte d'Appello, che le disposizioni locali che fissano distanze dai confini siano inderogabili in quanto integrative ai sensi dell'art. 873 c.c., significa ritenere che il rinvio fatto dal codice civile ai regolamenti edilizi in tema di distanze tra fabbricati si estende anche a quella parte della disciplina regolamentare che stabilisce un distacco minimo rispetto ai confini (così Tribunale di Monza, ordinanza 27/05/2009 su reclamo).

Non sta a chi scrive chiedersi se un simile approccio permetta di perseguire le finalità di riduzione del consumo di suolo dichiarate dal legislatore regionale (art. 63, c. 1, l.r. 12/2005) o, se così impostato, il sistema presenti ancora una sua omogeneità dopo l'intervento del legislatore nazionale volto a escludere dalla distanza di 10 metri le costruzioni poste in zona A, ossia all'interno dei nuclei più densamente edificati.

Ciò detto, una possibile via d'uscita l'ha recentissimamente indicata la Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. II, Ord., 12/11/2019, n. 29222) quando ha affermato, nel rigettare un motivo di ricorso che si appellava alla deroga contenuta nella legislazione regionale lombarda, che 

il comune infatti [...], ben potrebbe modificare la disciplina delle distanze, integrativa dell'art. 873 c.c.; ciò però non semplicemente rilasciando titoli abilitativi al recupero di sottotetti, bensì - nel rispetto delle disposizioni normative di rango superiore - modificando le norme dello strumento urbanistico, uniche disposizioni richiamate dall'art. 873 c.c., per la loro valenza di regolamento, connotate da generalità e astrattezza.

Indicazione nel solco di quanto sottolineato dalla stessa Corte soltanto un anno fa quando questa affermava che se è vero che le disposizioni dei piani regolatori che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni tra loro o dai confini dei fondi appartengono alla categoria delle norme integrative del codice civile le quali, se violate, conferiscono al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino, è altresì vero che l'obbligo - per chi edifica in sopraelevazione - di arretrare sino alla distanza dal confine prevista dallo strumento urbanistico non si applica allorchè la normativa regolamentare "preveda una espressa eccezione in proposito" (Cass. civ. Sez. II Ord., 10/05/2018, n. 11320).

In quest'ottica, spetta alle amministrazioni locali provvedere regolando il regime delle distanze dai confini - essendo quella dagli edifici trattata in via esclusiva dal d.m. 1444/1968 - distinguendo tra:

  • interventi che comportino modifiche della sagoma esistente;
  • interventi che, pur comportando modifiche dell'esistente, siano autorizzati quali recupero dei sottotetti esistenti secondo la l.r. Lombardia 12/2005;

dove per i secondi potrà essere fissata una distanza dai confini diversa rispetto ai primi, quando non pari a zero.

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