La collaborazione tra pubblico e privato nella rigenerazione urbana
Versione ridotta della pubblicazione Principi fondativi della collaborazione tra pubblico e privato nella rigenerazione urbana, in Dossier e monografie Smart 24 Appalti, aprile 2025.
La legge n. 241 del 1990
Sino al 1990 lo Stato italiano non aveva una normativa che regolasse l’attività amministrativa. O meglio, aveva, ed ha, una legge sul contenzioso amministrativo risalente al 1865 e leggi specifiche sulle singole materie, le più importanti delle quali risalenti a un momento storico compreso tra l’inizio e la fine degli anni ’30 del ‘900. Mancava una normativa dedicata ai principi generali, attuativa dell’articolo 97 della Costituzione, secondo il quale i pubblici uffici sono organizzati in modo da assicurare «il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione».
La legge n. 241 del 1990, scritta per definire i canoni del procedimento amministrativo e l’accesso alla documentazione in possesso delle pubbliche amministrazioni, contiene nelle premesse alcune definizioni generali sull’azione amministrativa, tra le quali il principio di collaborazione nei rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione, fissato nell’articolo 1, comma 1-bis, introdotto nel 2005.
Non passarono cinque anni perché nel 2020 il legislatore sentisse il bisogno di specificare, attraverso il comma 2-bis dell’articolo 1, che i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi «della collaborazione e della buona fede».
Il principio di collaborazione
Si afferma che il principio di collaborazione è contenuto in quello di sussidiarietà orizzontale sancito dall'articolo 118, ultimo comma, della Costituzione, a norma del quale lo Stato e le sue emanazioni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Il rispetto del principio di leale collaborazione può in ogni caso essere ricavato vuoi dal principio di legalità e di rispetto per lo Stato costituzionale di diritto, vuoi da un generale obbligo di etica pubblica percepibile dall’interprete ma rimesso, soprattutto, alla sensibilità delle istituzioni o, meglio, dei titolari delle funzioni istituzionali interessate (Toniatti, 2023).
Individuato uno dei nuclei primigenii nell'enciclica Quadragesimo Anno del 1931 - la quale evidenza la necessità che lo Stato eserciti correttamente i suoi poteri senza invadere le competenze dei corpi intermedi -, il principio di collaborazione va raccordato con il principio di fiducia di cui all'articolo 2 del Codice dei contratti pubblici, a norma del quale l’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici.
Un contesto di fiducia reciproca tra le parti, fondato sull'autorevolezza dell'amministrazione e sulla reputazione del privato, costituisce infatti il presupposto di una collaborazione fattiva (Clarich, 2024), ed è posto dal legislatore del 2023, insieme a quello del risultato, tra i principi fondamentali del nuovo codice degli appalti pubblici, a sua volta strettamente connesso all’istituto della qualificazione e della professionalizzazione delle stazioni appaltanti, alla cui mancata attuazione è attribuito il parziale fallimento del codice del 2016 (Quadri, 2024).
La collaborazione nella rigenerazione urbana
Se la collaborazione è principio immanente dell’azione amministrativa, come si colloca nella rigenerazione urbana? Prima di parlare di collaborazione, o - più precisamente - di partenariato, nella rigenerazione urbana, bsogna chiarire di cosa parliamo quando parliamo di rigenerazione urbana, perché la rigenerazione è qualcosa di più e diverso del recupero, nato nel 1978 con la l. 457 per affrontare il tema degli edifici dismessi più che delle aree dismesse.
La rigenerazione è qualcosa di diverso perché in qualche modo si connette, o si dovrebbe connettere, al tema del consumo di suolo, tema sconosciuto nel 1978. In questo senso è chiarissimo l’art. 1 della legge urbanistica della Regione Lombardia, la l.r. n. 12 del 2005, là dove, al comma 3-bis, afferma che La Regione promuove, negli strumenti di governo del territorio, gli obiettivi della riduzione del consumo di suolo e della rigenerazione urbana e territoriale per realizzare, in collaborazione con gli altri enti, un modello di sviluppo territoriale sostenibile, «da attuarsi anche mediante gli strumenti di partenariato pubblico-privato e di programmazione negoziata».
La rigenerazione è, quindi, uno strumento prima che un obiettivo, deputato a governare e perseguire uno sviluppo territoriale sostenibile. Se questo è il paradigma, la prima conclusione è che la rigenerazione è tutto sommato indifferente agli strumenti attraverso i quali viene attuata, ma è attentissima alle finalità che gli strumenti perseguono.
Il partenariato pubblico-privato
Il Codice dei Contratti disegna diversi schemi contrattuali in forza dei quali lo Stato può promuovere opere economicamente rilevanti, i più noti e utilizzati dei quali sono l’appalto e la concessione. In tempi recenti il legislatore si è tuttavia trovato di fronte a esigenze che né l’appalto né la concessione erano in grado di soddisfare pienamente: in quest’ottica, la categoria del partenariato pubblico-privato, il cui nucleo fondativo è da rintracciarsi nel Libro verde del 2004 sul diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, si configura come una categoria aperta e flessibile, della quale fanno parte contratti come il project financing, la locazione finanziaria e la sponsorizzazione.
Il recente decreto correttivo al Codice dei Contratti ha portato modifiche importanti all’istituto del Partenariato Pubblico Privato (PPP), disciplinato nel libro IV, agli articoli da 174 a 208: ciò che resta fisso è il perimetro delle componenti che devono sussistere affinché l’operazione economica possa qualificarsi come partenariato pubblico-privato, in particolar modo il fatto che tra ente concedente e operatori economici privati è instaurato un rapporto contrattuale di lungo periodo per raggiungere un risultato di interesse pubblico, sia pure con la gestione del progetto e l’allocazione in capo al privato del rischio operativo.
Che l’impronta resti pubblicistica, anche quando di iniziativa privata, è evidente da almeno tre circostanze: che gli enti concedenti sono enti pubblici (art. 174, c. 2), che l’affidamento e l’esecuzione dei relativi contratti sono disciplinati dalle disposizioni del Codice dei Contratti (art. 174, c. 3), che per procedere ad un PPP occorre che le Pubbliche Amministrazioni adottino un Programma triennale il quale indichi le «esigenze pubbliche» che si intendono soddisfare «attraverso forme di partenariato» (art. 175).
Il PPP nella sfida delle mutazioni urbane
Se nel 2016 la Banca Mondiale ha avuto occasione di sottolineare il successo dello strumento, il periodo post-Covid ha reso ancora più evidente la necessità di un approccio collaborativo tra settore pubblico e privato, poiché le città contemporanee si trovano ad affrontare due sfide urgenti che richiedono una risposta sistemica: da un lato, gli effetti del cambiamento climatico sulle grandi metropoli; dall'altro, la crescita costante della popolazione urbana, che porterà il 68% della popolazione mondiale a vivere nelle città, generando rapidi cambiamenti sociali all'interno delle comunità.
Le pubbliche amministrazioni, composte da una frammentazione territoriale frutto della storia di questa nazione, sono in grado di affrontare queste sfide? E, soprattutto, anche avendo chiaro come affrontarle, hanno i mezzi per farlo? In un’ottica diversa dal limitato orizzonte temporale al 2026 del PNRR, il PPP si offre come uno strumento destinato a assumere un ruolo sempre maggiore nella trasformazione delle città, dove vi è ampio spazio per iniziative che, selezionate accuratamente le opere e i servizi necessari alla collettività, costruiscano meccanismi per ripartire in modo equilibrato i rischi.
La rigenerazione in urbanistica
Per evitare i rischi derivanti dall’abuso epistemologico del termine (Cusano, 2024), dobbiamo pensare alla rigenerazione come uno strumento, non come un obbiettivo, soprattutto in un’ottica di sviluppo territoriale sostenibile, dove il tema del consumo di suolo impone di ripensare gli spazi cittadini inutilizzati, sia pubblici che privati, e, con riferimento a questi ultimi, a rivalutare l’effettiva declinazione del principio della funzione sociale della proprietà, contenuto nell’art. 42 della Costituzione.
Fissato il quadro di riferimento, la discussione sugli strumenti si può sintetizzare individuando lo strumento principe, anche se non unico, nel Programma Integrato di Intervento (PII), nato con la legge n. 179 del 1992 – pesantemente riformata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 393 del 1992 – e ampiamente declinato in Lombardia dalla legge urbanistica n. 12 del 2005, al titolo VI, capo I, articoli da a 87 a 94bis, quale strumento che «persegue obiettivi di riqualificazione urbana e ambientale, con particolare riferimento ai centri storici, alle aree periferiche», nonché agli ambiti individuati dal Piano di Governo del Territorio nei quali avviare processi di rigenerazione urbana e territoriale.
Piano strategico e piano integrato in qualche modo convivono nella legislazione lombarda, la quale, da un lato, impone al Documento di Piano (art. 8) di individuare gli ambiti nei quali avviare processi di rigenerazione urbana e territoriale, e dall’altro individua nei Programmi integrati di intervento (PII) lo strumento pianificatorio eccezionale da utilizzarsi quando lo scopo è quello di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio e ambientale del territorio.
Se il PII non è l’unico degli strumenti offerti per la rigenerazione, è, però, certamente quello che per le sue caratteristiche è il più vicino ai Comuni, soprattutto a quelli di medie dimensioni, non fosse altro perché, a differenza degli accordi su scala regionale, che vedono gli enti locali recettori delle decisioni prese altrove, tutto sommato consente alle amministrazioni di mantenere il controllo sul contenuto urbanistico del progetto nella misura in cui, come recita l’articolo 87 della l.r. 12, esso è utilmente procedibile se (e solo se) mira alla riqualificazione del tessuto urbanistico, edilizio e ambientale.
Il catalogo dell’urbanistica contemporanea applicato alla rigenerazione urbana
La sfida per gli operatori locali è quella, da un lato, di leggere con sospetto la ^facilità^ procedurale con cui il PII può discostarsi dal Piano di Governo del Territorio e, dall’altro di esaminare la proposta rispondendo alle ben più impegnative domande sulla corrispondenza del progetto ai principi dell’urbanistica contemporanea.
Prendendo spunto dal lavoro di uno degli autori più sensibili alla corretta individuazione degli assiomi fondanti la moderna pianificazione territoriale (Boscolo, 2024), ogni proposta di PII dovrebbe, in via preliminare, essere esaminata declinando in sede locale alcuni dei principi dell’urbanistica contemporanea, ossia i principi di sostenibilità, qualità paesaggistica, efficienza insediativa, inclusività, partecipazione, negoziabilità.
Principio di sostenibilità: l’articolo 9 della Costituzione stabilisce che la Repubblica tutela il paesaggio, il patrimonio storico e artistico della nazione, l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, con particolare attenzione anche alle future generazioni. Il progetto mira a ripristinare condizioni ambientali adeguate nelle aree urbane?
Qualità paesaggistica: il principio di sostenibilità e quello di innalzamento qualitativo dei luoghi vanno di pari passo. Il progetto mira a garantire che i fondali della vita delle persone (i cd. paesaggi ^della vita quotidiana^ secondo le parole di Luigi Mazza) mantengano carattere di significatività e senso percepibile?
Efficienza insediativa: il vincolo di effettività impone un obiettivo concreto nella definizione dell’assetto urbano. Il progetto rappresenta una soluzione adeguata a un’organizzazione ottimale dello spazio urbano, garantendo densità e modalità di insediamento in armonia con la storia e le caratteristiche del contesto?
Inclusività e giustizia territoriale: i principi di inclusività e uguaglianza territoriale impongono di progettare con particolare attenzione al profilo socio-demografico dei cittadini e alle loro esigenze. Il progetto è in grado di trasformare le previsioni pianificatorie in interventi concretamente integrati nel contesto territoriale?
Partecipazione e concertazione: la partecipazione ha il compito di assicurare a tutti i soggetti coinvolti l’opportunità di apportare contributi conoscitivi. Le iniziative partecipative poste in atto in sede di veicolazione della proposta hanno effettivamente inciso sull'orientamento e sulla motivazione delle decisioni?
Negoziabilità: negoziabilità implica la restituzione alla collettività di una parte del valore aggiunto derivante dall’incremento della rendita. Il progetto garantisce che una quota del beneficio economico ottenuto dal privato attraverso la modifica dello strumento urbanistico venga redistribuita a favore della collettività?
In assenza di una normativa statale che assegni ai Comuni un ruolo guida nell’orientamento della legislazione regionale, le amministrazioni locali sono chiamate, per citare l’autore (Boscolo, cit.), a svolgere la funzione di ^legislatori nazionali^, applicando principi urbanistici di portata universale a progetti che interessano porzioni di territorio. Così inquadrato e ricondotto a sistema, il partenariato pubblico-privato costituisce uno strumento prezioso nella misura in cui è in grado di operare in un contesto di fiducia reciproca dove l’obbiettivo è la realizzazione di istanze pubblicistiche attraverso la valorizzazione delle rispettive competenze.
Il punto, infatti, non è chiedersi cosa potrebbero fare i privati senza lo Stato: il punto è chiedersi cosa può fare lo Stato con i privati.